In sinodalità

Articolo_editoriale_04dma2020
Concludere un ciclo è sempre un’opportunità per raccogliere le luci emerse sulle strade percorse. È poter volgere lo sguardo al passato e cogliere il presente-futuro negli orizzonti di una nuova normalità.  È tempo di risignificare lo sguardo, di far emergere la sua forza comunicativa, la sua capacità di catturare quello che c’è al di là delle apparenze per entrare, con delicatezza, nel mistero dell'altro. L’esperienza dello sguardo reclama reciprocità. Lo scenario contemporaneo ci invita a riafferrare la via intrapresa dell’allargate lo sguardo. E proprio quando stavamo per congedarci dal tema del CGXXIII veniamo sollecitate a riprenderlo nella sua piena attualità.

Quante esperienze vitali contenute in questo esercizio dell’allargare lo sguardo! Uno sguardo aperto è quello che si lascia interpellare dalla realtà nella sua piena autenticità, spo-gliandosi dai pregiudizi per accogliere l’altro nella sua essenza. Uno sguardo con-templativo, che riposa sul mondo visto come un’opera d’arte, come un “testo” dischiuso da una percezione carica di progettualità, di possibilità, di creatività. Questo sguardo contemplativo viene dallo Spirito. Con Lui entriamo in con-templazione abitando il Tempio trinitario e da Lui attingendo la sensibilità comunicativa per visitare il tempio che sono i giovani e l’immensa umanità. Allargate lo sguardo è l’invito ad abitare con loro e a lasciarci abitare da loro per essere casa-dimora di Dio per e con i giovani.

Lo sguardo, definito come “finestra dell’anima”, è ancora oggi la finestra attraverso cui si riflette lo sguardo di Maria che, guardando la realtà del suo popolo, si è lasciata toccare dall’afflizione di una coppia durante la festa di nozze. Lo sguardo di Maria a Cana è l’invito permanente ad aprirci ad uno sguardo illuminato dallo Spirito, plasmato da lui; uno sguardo sensibile che si lascia toccare dalle speranze e dai disagi di ieri e di oggi.

Negli orizzonti di una nuova normalità, gli sguardi vanno educati dallo Spirito di Dio. Con gli occhi dello Spirito tocchiamo la realtà nella sua più profonda essenza. Il Vangelo della contemporaneità è vivo nei clamori dei giovani, dei poveri, delle immense folle di esclusi.

Per “fare tutto quello che il Signore ci dirà”, nelle “nuove nozze contemporanee”, ci vogliono gli occhi saggi del Maestro; gli occhi umili e lucidi dei servi; gli occhi credenti dei discepoli; gli occhi assorbiti da una parresìa profetica, abbracciati ad una speran-za che non delude che è proprio il Signore e Maestro della storia, colui che ci offre una visione comunionale della vita. Uno sguardo sinodale perché in comunione con tutti, con la Trinità, per essere in grado di abbracciare la realtà nella sua interezza salvifica. Gli sguardi sinodali di Emmaus e di Cana si incrociano. Da una attesa (“Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto” – Lc 24,24), e da uno sconcerto (“Non hanno vino” – Gv 2,3), il Signore – il Viandante e il Vino buono – fortifica la speranza e la fiducia di un Istituto che ha cercato di camminare con Lui, insieme ai giovani e che tutti invita, in questo momento storico, a guardare sempre gli orizzonti generatori di vita. Lo Spirito di Dio sollecita a forgiare uno sguardo sinodale per essere capaci di assumere l’atteggiamento di solidarietà evangelica contenuta in quel “fate tutto quello che Lui vi dirà”, che ci porterà all’incontro con Gesù, il Vino Buono, presenti nei volti degli esclusi di questo nostro tempo.

 

Maria Helena Moreira, FMA 
mhmoreira@cgfma.org

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