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Guardare con gli occhi

La guerra lascia ferite profonde, segnando non una ma più generazioni e richiede tempo e lunghi processi di ricostruzione e di riconciliazione. È una eredità pesante, tanto quanto pensare che a pochi chilometri si continua a bombardare le città, tante persone muoiono e altre, rifugiati e profughi, non sanno cosa sarà del loro domani.

“Signore Dio… Liberaci dalle paure e dai pregiudizi, perché cresca un mondo in cui ogni persona sia rispettata nella sua inviolabile dignità”. Dinanzi alla Madonna, nel Centro Giovanni XXIII Peace Lab ad Hal Far a Malta, Papa Francesco recita una preghiera universale per i migranti e profughi. “Ognuno di voi ha vissuto questa esperienza di partire staccandosi dalle proprie radici. È uno strappo. Uno strappo che lascia il segno. Non solo un dolore momentaneo, emotivo. Lascia una ferita profonda nel cammino di crescita di un giovane, di una giovane. Ci vuole tempo per risanare questa ferita; ci vuole tempo e soprattutto ci vogliono esperienze ricche di umanità: incontrare persone accoglienti, che sanno ascoltare, comprendere, accompagnare; e anche stare insieme ad altri compagni di viaggio, per condividere, per portare insieme il peso… Questo aiuta a rimarginare le ferite. Questa è la strada! La strada della fraternità e dell’amicizia sociale” (Papa Francesco a Malta, 3 aprile 2022).

In rete per i migranti

La migrazione non è una novità. “Come altri Fondatori, anche Don Bosco si sentì interpellato dalla precarietà in cui si imbattevano i migranti in cerca di riscatto. E prima di giungere nella sognata Patagonia, le missioni salesiane in Argentina e Uruguay si interessarono delle famiglie italiane che spesso, si diceva, nell’oceano perdevano la fede. Nel 1877 sei giovani Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) inaugurarono le spedizioni missionarie in Sud America, iniziando a lavorare appunto tra le famiglie dei migranti. Con la guida del Successore di Don Bosco, Don Michele Rua, le FMA, come i Salesiani, allargarono il campo d’azione tra di loro prima in America del Sud, poi in Medio Oriente, Svizzera, Belgio, Inghilterra e qualche anno dopo negli Stati Uniti, secondo esigenze che variavano con i luoghi e le circostanze. Dinanzi a una problematica tanto estesa fu presto necessario associarsi, unire le forze e lavorare insieme per l’unica missione. In questo senso Salesiani e FMA collaborarono, tanto in Medio Oriente quanto in America, con l’Associazione Nazionale per Soccorrere i Missionari Italiani (ANSMI), fondata nel 1886 dall’egittologo torinese Ernesto Schiaparelli (1856-1928). Nel 1909, come emanazione dell’Associazione, fu fondata la Federazione Italica Gens per l’assistenza degli emigrati italiani nelle Americhe, con l’intento di proteggere gli emigranti transoceanici e di realizzare una rete tra le Congregazioni presenti in loco. Le FMA favorirono una permanenza assistita specie a donne e bambine scartate dall’imbarco in uno dei maggiori porti di partenza, e un inserimento dignitoso dei migranti, una volta arrivati a destinazione” (Cf GRAZIA LOPARCO, Figlie di Maria Ausiliatrice e migranti italiani nel primo ’900, in Rivista di Scienze dell’Educazione, Anno LV n 1 Gennaio/Aprile 2017).

Un tetto, l’accoglienza, la condivisione del dramma

Cosa possiamo fare? È la domanda che in tanti si sono posti e ancora si pongono di fronte ai tanti profughi costretti ad abbandonare l’Ucraina ancora in guerra. Dopo la domanda, il discernimento, dopo il discernimento la decisione. È capitato anche alle Comunità Educanti dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, alla Congregazione dei Salesiani di Don Bosco, ai gruppi della Famiglia Salesiana che hanno spalancato le porte delle loro case per accogliere famiglie oltre confine, offrendo loro condizioni di vita dignitose, pace e speranza. Lo stile di accoglienza e di aiuto è segno tangibile della fede e del carisma salesiano: il farsi prossimi a chi è ferito dalla vita.

Quando sono arrivata in Italia ho guardato il cielo: nessuno bombardava e ho pensato i miei bimbi sono protetti qui. Non c’è niente nella vita più prezioso della pace, racconta Ana, 30 anni e due bambini di 2 e 4 anni, che ha lasciato l’Ucraina. “Mio marito e mio padre sono rimasti a Kiev. Sono nelle cantine, perché hanno paura”.

Sono arrivate, dopo una settimana dall’inizio del conflitto. La bimba dice alla mamma: “Facciamo una foto da mandare al papà per fargli vedere quanto è bello questo posto dove siamo arrivati“. Fa venire alla mente il Vangelo della Trasfigurazione, in cui Pietro dice a Gesù: «É bello stare qui». Negli incontri e anche dentro le disgrazie che incrociamo, ci sono momenti di lucidità che ci fanno camminare verso la Pasqua, verso la vita nuova che il Signore ci dona.

La nonna di Sofia, in chiesa, si è messa a pregare urlando in ginocchio: Signore, Signore donaci la pace! La bimba immediatamente è andata da lei: Nonna, io sono qui con te, quello che gli altri stanno distruggendo noi con la pazienza lo ricostruiremo”. Un momento commovente, un incontro tra generazioni che si sostengono reciprocamente, proprio come dice il Papa. La speranza e la sicurezza di Sofia sono segno di futuro!

Guardiamo negli occhi gli scartati che incontriamo, lasciamoci provocare dai visi dei bambini, figli di migranti disperati. Lasciamoci scavare dentro dalla loro sofferenza per reagire alla nostra indifferenza” (Papa Francesco).

 

Violini, croci e rosari con il legno dei barconi dei migranti

“Contrastare la cultura dello scarto”.  Nasce in questa prospettiva il progetto “Metamorfosi”, promosso dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti di Milano, in collaborazione con il Ministero dell’Interno, l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopolio e il Carcere di Opera-Milano. Il progetto è un’occasione per promuovere una nuova coscienza su un tema complesso come quello delle migrazioni e mettere in evidenza la capacità di Istituzioni e società civile di camminare insieme verso un impegno comune.

Dieci barconi, arrivati a Lampedusa, saranno a disposizione del Laboratorio di liuteria e falegnameria del carcere per essere trasformati in violini, viola e violoncelli, poi prestati ad orchestre italiane e straniere ad artisti di fama che li utilizzeranno per concerti in tutto il mondo. A lavorare il legno, i detenuti del carcere per offrire loro un’opportunità di cambiamento. Il tempo dedicato a questo lavoro li aiuterà a ricuperare la propria dignità umana e, quindi, a cambiare i punti cardinali della propria vita, prendendosi cura della comunità civile e contribuendo con il proprio lavoro al progresso materiale o spirituale della società. Un progetto di redenzione umana e sociale, che si prende cura delle persone e che, partendo dalla propria storia personale, le aiuta a riorientare la propria vita, presente e futura, verso quell’obiettivo che tutto anima e tutto muove secondo disegni ben precisi, anche se a volte misteriosi.

Questi strumenti musicali potranno così essere suonati portando con loro una cultura della conoscenza, dell’accoglienza e dell’integrazione attraverso la bellezza e le armonie. Il Presidente della Fondazione Arnoldo Mosca Mondadori, che ha presentato a Papa Francesco il primo violino realizzato dai barconi, scrive:  «Con il legno dei barconi, su cui hanno viaggiato i migranti, molti dei quali non sono riusciti a concludere il viaggio, verrà creata l’Orchestra del Mare a disposizione dei più giovani, perché possano conoscere e divenire consapevoli del dramma che vivono quotidianamente, in tanti Paesi del mondo, i migranti, costretti a fuggire da guerre, persecuzioni, povertà, carestie. È un progetto che, attraverso l’arte e la spiritualità, parla della migrazione davanti alla quale bisogna fare prima di tutto silenzio».

 

Gabriella Imperatore, FMA 
gimperatoreit@yahoo.it

 

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