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Educare: un atto di amore

L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani.

Ormai quotidianamente i mezzi di informazione propongono notizie e immagini collegate in modo diretto o indiretto con la crisi ambientale e sociale che l’umanità si trova ad affrontare. Ghiacciai che si sciolgono, incendi che divampano, terribili nubifragi, mancanza di cibo e acqua ed altri eventi estremi colpiscono la popolazione da una parte all’altra del globo. Lo sguardo con cui troppo spesso ci si accosta a questi eventi drammatici è quello della rassegnazione e della paura o dell’estremo tentativo di negare una realtà troppo difficile da accettare e vivere.

L’essere umano è sempre attaccato dalla tentazione di fuggire davanti a sfide che impongono un cambiamento radicale, si è portati a pensare di essere sempre troppo impotenti, troppo pochi, troppo lontani, troppo incapaci di far fronte a situazioni complesse. Questa diffusa sfiducia, purtroppo, investe soprattutto le giovani generazioni, impreparate ad affrontare in pochi anni eventi relegati in un passato studiato solo sui banchi di scuola, quali la pandemia e le guerre sparse nel mondo. I giovani sempre più spesso si sentono derubati del futuro e non hanno alle spalle un bagaglio esperienziale abbastanza forte per combattere questo esteso scetticismo.

Molte volte nella storia l’umanità si è trovata sopraffatta da situazioni drammatiche ma il bene, attraverso le persone, trova strade spesso imprevedibili per aprire sentieri anche in terre estremamente aride. Per questo è urgente prendere sul serio e dare nuova forza al compito educativo, evento fondamentale per la crescita, il cambiamento e la rigenerazione della società. Significative le parole di Hannah Arendt: «L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti» (Tra passato e futuro 1961).

L’educazione: un’arte appassionante 

Il futuro poggia sulla libertà e sull’unicità di ciascuno e sulla possibilità che ognuno si lasci attraversare dall’eredità dei padri e la ridoni al mondo in modo unico. Per questo l’educazione ha il compito primario di coltivare nei giovani l’inquietudine della ricerca, che porta ad uscire da se stessi ed è fonte di generatività e pace. Valorizzare l’inquietudine significa anche insegnare a vivere le inevitabili crisi esistenziali e sociali come motore di un possibile cambiamento, sorgente di vita. L’educazione può essere considerata come un atto d’amore e principio di vita anche nel suo essere una pedagogia della domanda, capace di cogliere, ascoltare e talvolta intuire le domande che sempre abitano il cuore dei giovani, malgrado una sempre maggiore difficoltà ad esprimerle. Per questo risultano indispensabili educatori audaci e creativi, con il cuore aperto e ricettivo non chiuso e arroccato su un sapere già fissato che aspetta solo di essere trasmesso.

Educare è anche un atto di speranza. Sulla virtù della speranza si fonda infatti la cura per il prossimo e, soprattutto, per le generazioni future perché non ci si ferma alla difficoltà del presente ma si agisce in vista di un futuro possibile, ricco di doni, da condividere con gli altri. La speranza scalfisce l’individualismo e rende capaci di aprirsi al prossimo.

Educare significa anche integrare. L’educazione, infatti, deve essere integrata nella società, luogo privilegiato per l’edificazione della comunità civile, spazio di incontro, dialogo e decisione di obiettivi condivisi. L’educazione non può essere concepita come un affare esclusivamente individuale, di sviluppo personale, ma riguarda anche la dimensione comunitaria, il modo in cui le persone vivono insieme.

Perché i processi educativi non abbiano come obiettivo esclusivo quello di potenziare le soggettività in una visione eccessivamente meritocratica e competitiva, ma mettano basi solide per la costruzione di un futuro condiviso per l’edificazione della storia di cui tutti siamo attori ed autori, è indispensabile, per l’integrazione sociale e per la costruzione del senso di comunità, l’esperienza in famiglia e nelle comunità dei diversi ambienti educativi: scuole, oratori centri ricreativi, sportivi…

Gli studi a livello internazionale dimostrano e sostengono che educare umanizza il mondo. Uno degli obiettivi principali che la pedagogia deve prendere sul serio è quello di abbracciare l’unità dell’essere umano, «perché la persona, per sentirsi persona, deve sentire, deve pensare, deve integrare questi tre linguaggi così semplici: il linguaggio della mente, del cuore, delle mani» (Francesco 2016).

Chi sviluppa la propria umanità, riscopre anche quella dell’altro che gli è vicino, in cui riconosce un fratello, una sorella da sostenere e amare. La famiglia e la scuola, in quanto luoghi privilegiati di promozione della persona, possono allora diventare luoghi in cui imparare la prossimità e il servizio. Tuttavia solo attraverso l’autenticità di educatori, che con tenerezza accarezzano e correggono i limiti e gli errori, l’educazione s’incarna in una realtà concreta, nelle situazioni effettive dei ragazzi e delle loro famiglie.

La fiducia dell’educatore permette anche agli educandi di accogliere i propri limiti, trasfigurando questi confini in blocchi di partenza per un ulteriore sviluppo.

L’educazione, intesa come atto d’amore, di speranza, di integrazione e fattore che umanizza il mondo, tratteggia il contesto in cui è possibile analizzare sempre meglio la visione poliedrica del compito educativo.

La consapevolezza per il cambiamento 

Nell’enciclica Laudato si’ papa Francesco propone numerose sollecitazioni di carattere educativo, mettendo in evidenza che nella complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, l’educazione può offrire un suo significativo e insostituibile apporto.

L’enciclica è scritta per smuovere le coscienze, sottolineare criticità, proporre un dialogo, chiedere dei profondi cambiamenti; essa è attraversata, nella sua interezza, da una chiara tensione pedagogica. Se la funzione della pedagogia è di essere riflessione culturale rigorosa in ordine ai fini dell’educazione, studio metodologicamente fondato dei dispositivi educativi e ricerca, socialmente partecipata, di linee di innovazione educativa, troviamo sicuramente nei diversi capitoli sia spunti importanti in ordine ai fini e ai metodi di un’educazione autentica alla ‘cura della casa comune’, sia per ripensare in modo complessivo il nostro educare (Mantegazza, 2015).

Papa Francesco propone una pedagogia della consapevolezza in quanto i cambiamenti sociali richiedono un rinnovamento delle coscienze. L’umanità ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale ed educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione (LS 202). La pedagogia della consapevolezza porta con sé lo sforzo educativo per promuovere la comprensione dei problemi e lo stile del discernimento, che fa sì che ci si interroghi su ciò che si intende fare, su quale bene si intenda perseguire e sulle possibili conseguenze (Triani 2017). 

La proposta pedagogica nella LS si presenta come una richiesta di responsabilità per l’oggi e per il domani. Questo richiamo ad allargare gli orizzonti oltre il tempo che ora viviamo ci permette di riprendere in considerazione il fatto che ogni educazione autentica è sempre generatrice di futuro. Ma quale futuro immaginiamo?

Papa Francesco dice: “un futuro condiviso da tutti”. Indica poi come orizzonte il dialogo e la fraternità umana. Ciò però comporta una pedagogia dell’autotrascendenza e dell’interdipendenza. Per promuovere un futuro che non perda di vista la tensione alla convivenza pacifica, alla costruzione di uno sviluppo comune, occorre avere fiducia nella capacità della persona di uscire da sé stessa, sostenere questa capacità anche intensificando gli sforzi per tenere alta l’attenzione sull’interdipendenza che anima la vita degli esseri umani e il loro rapporto con il creato. È sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da sé stessi verso l’altro. Senza di essa non si riconoscono le altre creature nel loro valore proprio, non interessa prendersi cura di qualcosa a vantaggio degli altri, manca la capacità di porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che ci circonda. L’atteggiamento fondamentale di auto-trascendersi, infrangendo la coscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende possibile ogni cura per gli altri e per l’ambiente e fa scaturire la reazione morale di considerare l’impatto provocato da ogni azione e da ogni decisione personale al di fuori di sé (LS 208). 

Nell’enciclica è chiaramente presente una pedagogia del gesto e dell’esempio, in quanto si mette in evidenza come il cambiamento richieda la modificazione non solo delle idee, ma delle abitudini e delle scelte che caratterizzano la quotidianità (Triani 2017).

Mara Borsi, FMA
mara@fmails.it

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