Vicini e fratelli

Vicini e fratelli
«La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli»: è l’espressione di Papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate che rivela una profonda verità: oggi godiamo di maggiori opportunità di comunicazione eppure, paradossalmente, ci riscopriamo sempre più soli, trascinati in una corsa verso interessi individuali, che lascia nell’indifferenza i più fragili e poveri. Chissà se scopriremo la nostra reale povertà, quel vuoto interiore che cerchiamo di compensare sottomettendoci alle logiche del mercato, dei consumi, dell’efficienza, dell’utilitarismo, dell’immagine… I momenti più dolorosi della storia ci riportano sempre alla consapevolezza di essere “tutti nella stessa barca”, riusciamo a sfiorare la nostra vera umanità, ma con tanta facilità dimentichiamo la lezione e ricadiamo nel vortice del nostro individualismo. Così il nostro sguardo è ripiegato su noi stessi, ignora gli altri o li considera a scopo utilitaristico.

Eppure la persona umana, creata a immagine di Dio-Trinità, è un essere relazionale, “chiamato” a realizzarsi nella comunità. Ma la cultura corrente sembra averlo dimenticato, confonde la “connessione” con la vera comunicazione, la spettacolarizzazione con la capacità relazionale, la “community” con la comunità, intesa come luogo di reale comunione, dove si intrecciano doni e fragilità umane, passi veloci e lenti, conflitti e riconciliazioni, in un processo dinamico condiviso. Non esiste un punto di arrivo, una meta da raggiungere una volta per tutte, ma la comunità esiste se si rigenera ogni giorno con il contributo di tutti. Per Martin Bubber, grande filosofo del ’900, la comunità in divenire «consiste nel non essere più semplicemente uno vicino all’altro, ma nell’essere uno presso l’altro di una molteplicità di persone che, anche se si muove insieme verso un fine comune, ovunque fa esperienza di una reciprocità, di un dinamico essere di fronte, di un flusso dall’io al tu: comunità è là ove la comunità avviene». Non esiste una comunità perfetta, ma una comunità in cammino che, pur sperimentando la fatica, impara ogni giorno con pazienza a costruire legami, a scoprire le proprie e le altrui risorse, a valorizzare quello che unisce superando i conflitti, a sperimentare la bellezza della condivisione della vita. Il Vangelo ci invita a seguire l’esempio delle prime comunità cristiane che «immerse in un mondo pagano colmo di corruzione e di aberrazioni, vivevano un senso di pazienza, tolleranza, comprensione. Alcuni testi sono molto chiari al riguardo: si invita a riprendere gli avversari con dolcezza. Si raccomanda di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini». (FT 239)

Ancora oggi il nostro essere comunità è il dono più bello che come cristiani possiamo offrire a una società che, se pur malata di individualismo, cerca, magari inconsapevolmente, strade concrete di unità perché nel cuore di ogni uomo è seminata «la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri» (Papa Francesco).

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