La speranza per gli invisibili

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Chi sono gli invisibili? Sono i minori non accompagnati delle diverse rotte del mondo migrante; sono bambini e adolescenti ridotti in schiavitù per lavoro forzato, sfruttamento sessuale e matrimoni forzati. Come agire per ridare speranza a situazioni che sembrano buchi neri?

La situazione e i suoi dati

L’analisi più recente relativa al fenomeno della schiavitù, realizzata da Walk Free ONG e dall’Organizzazione Mondiale del Lavoro (ILO) in partnership con l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (IOM) e pubblicata nel Report Global Estimates of Modern Slavery (2022), stima che globalmente siano quasi 50 milioni le persone coinvolte in reti di assoggettamento e riduzione in schiavitù, di cui 12,3 milioni di minorenni, implicati soprattutto nelle forme di lavoro forzato, sfruttamento sessuale, matrimoni forzati, attività illecite. È da sottolineare che il 12% del totale è costituito da giovanissimi e giovanissime non ancora nella maggiore età. Le percentuali statistiche, appena indicate, risalenti al 2020 salgono nel periodo 2023-2024 al 38% così suddivisi: 22% ragazze, 16% ragazzi.

In Europa nella maggior parte dei casi, le vittime di tratta sono persone adulte (84%), mentre i minori rappresentano il 16%, e complessivamente le vittime sono maggiormente di sesso femminile (66% contro il 34% di sesso maschile). Tra i più piccoli, fino agli 11 anni di età, le vittime sono quasi in egual misura bambini e bambine.

La povertà, la mancanza di assistenza sanitaria, l’assenza di strumenti adeguati alla crescita e allo sviluppo dei bambini, degli adolescenti riguardano la maggior parte del nostro pianeta. Risulta evidente che c’è bisogno di uno sforzo della comunità internazionale perché si possano colmare tante disuguaglianze.

Le storie: tra dolore e riscatto

Storie di tratta e sfruttamento, ma anche di liberazione e riscatto che riguardano soprattutto adolescenti.

Il cugino di I. promette un lavoro ben retribuito in Europa, ma in realtà è solo una truffa… I. è stato accolto da una famiglia italiana che lo ha aiutato a trovare un lavoro e a frequentare la scuola per completare la sua istruzione.

I., Costa d’Avorio, 15 anni.

Un uomo più grande, del suo quartiere, che aveva notato le difficoltà di M. e il suo talento nel calcio, decise di aiutarlo a costruire un futuro migliore. Quest’uomo organizzò e pagò il viaggio, promettendogli che avrebbe potuto studiare e giocare a calcio. M., fidandosi, decise di accettare l’aiuto offerto. Si misero in viaggio, attraversando il Mali, l’Algeria e infine la Tunisia con mezzi di fortuna: a piedi, con passaggi in camion, con autobus e pick-up nel deserto. M. racconta che fu un viaggio molto lungo, con pochi mezzi di sostentamento e molto doloroso.

M., Guinea, 17 anni.

T. viene ingannato da un presunto agente di viaggio che lo convince a partire con documenti falsi. Il viaggio di T. è iniziato con un volo verso Dubai, seguito da un lungo percorso attraverso il Medio Oriente, con numerosi scali e controlli, per poi terminare in Libia dove è stato rinchiuso in attesa di imbarcarsi…

T. ha trovato un lavoro in una piccola impresa grazie all’aiuto di una rete di supporto che lo ha guidato attraverso il processo di ricerca di un’occupazione.

T., Bangladesh, 17 anni.

S. ha dovuto contrarre un debito considerevole per pagare il viaggio verso l’Europa, indebitandosi con trafficanti locali. Ha accettato di indebitarsi con un intermediario che ha promesso di aiutarlo, accumulando un debito che avrebbe dovuto ripagare una volta arrivato. S. ha subito violenze fisiche da parte dei trafficanti libici, venendo spesso picchiato con bastoni e fruste durante la sua prigionia in Libia. È stato anche costretto a unirsi a un gruppo armato ribelle, subendo pesanti addestramenti e minacce costanti di morte in caso di disobbedienza… Dopo tanta sofferenza, adesso sta imparando un mestiere. Vorrebbe diventare un elettricista, lavorare e avere una casa da solo.

S., Guinea, 16 anni.

Depressed boy sitting on the terrace floor

In Burkina Faso, W., ha incontrato una donna che le ha permesso di dormire nella cucina dove preparava riso da vendere. Un’altra donna le ha offerto una sistemazione migliore, ma si è rivelata una trafficante di ragazze. Rifiutandosi di prostituirsi, W. è fuggita verso il Niger, dove è stata arrestata, picchiata e imprigionata. Soccorsa in mare, W. è stata portata a Lampedusa, trovandosi poi in ospedale con gravi problemi di salute. Dopo più di un mese di degenza, è stata trasferita in un centro di accoglienza per donne, iniziando un percorso psico-sociale e mettendo a frutto la sua grande forza interiore per superare le difficoltà vissute.

W., Guinea, 17 anni.

La speranza, per le innumerevoli storie simili a quelle indicate, arriva attraverso l’impegno di Istituzioni pubbliche, private e dalle associazioni della società civile. Sono molte le iniziative concrete per rispondere alla piaga della tratta, come, ad esempio, il progetto E.V.A. Early identification and protection of Victims of trafficking in border Areas avviato nel 2023 è finalizzato a garantire l’identificazione precoce, l’emersione e la messa di protezione di minori, ragazze e giovani donne vittime di tratta o a rischio di re-trafficking, che transitano nelle zone di confine tra Italia e Francia (Ventimiglia), Francia e Spagna (Irun) e nelle città francesi di Parigi e Nimes.

Si tratta di un progetto trans-nazionale di cui è responsabile con altre associazioni Save the Children. Da ottobre 2023 a giugno 2024, il progetto ha raggiunto 530 beneficiari, tra cui minori soli, ragazze e madri con figli potenziali vittime di tratta, tramite attività di primo contatto, informativa anti-tratta e risposta ai bisogni primari; di questi, 126 sono stati successivamente pre-identificati come potenziali vittime di tratta e 45 riconosciuti come vittime e inseriti in programmi di protezione nei tre Paesi d’intervento (cf.Save the Children, Piccoli schiavi invisibili 2024).

Naturalmente in questo campo non si può non menzionare la significativa azione della Chiesa, in particolare, dei religiosi e delle religiose.

Educare è sperare

Gli educatori comprendono meglio di altri il significato profondo della relazione tra educazione e speranza. Essi vivono quotidianamente tale relazione e la riconoscono fondamentale nella propria azione educativa. «Il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare “i segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso»; così si esprimeva don Lorenzo Milani, negli anni Sessanta, segnalando il compito dell’educatore: scorgere negli occhi dei ragazzi la promessa di futuro.

Alle volte a sbloccare la vita dei ragazzi è proprio l’incontro con un educatore capace di nutrire la speranza, di pensarli migliori di quello che sono, un adulto che non permette che una singola azione o un errore definiscano l’identità di un adolescente (ladro, deviante, borderline). Non si tratta di essere irrealistici, ciechi. La speranza non è cieca, apre al futuro solo se vi è responsabilità nei confronti del passato e del proprio agire.

Alzare lo sguardo, è questo che ci aiuta a fare la speranza, alzare lo sguardo nella relazione educativa dai reciproci fallimenti, quelli dell’educatore e quelli dell’educando, alzare lo sguardo per darsi insieme nuove possibilità di bene e quindi di vita buona. La speranza ci aiuta a contrastare la rassegnazione del “non c’è niente da fare”.

Gli educatori per poter sperare nei ragazzi prima di tutto devono aver imparato a sperare in se stessi, nonostante i limiti che ciascuno ha e gli sbagli in si cui inciampa. Spesso gli educatori non vedono i frutti della loro azione educativa, non colgono gli effetti del loro agire sulla realtà che sperimentano i ragazzi.

Sperare nell’educazione implica la capacità di accettare che da sola essa non cambia il mondo, ma contribuisce a formare persone che si impegneranno a farlo. Il mondo in cui speriamo è quello in cui ognuno, ognuna possa essere felice, completando la sua felicità con quella degli altri (cf. R. Mantegazza 2024).

Alla scuola dei testimoni della speranza: Madelein Delbrêl

Noi amiamo i versi di Péguy sulla Speranza bambina. Dicono cose verissime, ma, se non m’inganno, la speranza che è necessario noi viviamo […] non può essere una bambina. La bambina deve diventare grande. È una speranza fatta donna, una speranza di donna che ama, quella di cui abbiamo bisogno per far fronte, la speranza di quella donna che, folle di inquietudine, esce dalla città, e domanda ai soldati, domanda alle guardie «Avete visto il mio diletto? Sapete dov’è?» (Cantico dei Cantici 3,3).

Questa speranza deve essere forte, e deve essere anche vera […] è la speranza soprannaturale, è la speranza che ci dà Dio, è la speranza che dobbiamo chiedere incessantemente a Dio. Essa è desiderio di Dio, passione di Dio, compassione per il mondo. È fatta per prendere carne nel nostro cuore. E vi crea speranze che sono quelle di Gesù Cristo, quelle della passione di Dio e della compassione di Dio per tutti gli uomini e per ciascun uomo.

Voi lo sapete indubbiamente meglio di me, c’è raramente fedeltà a Dio senza che la speranza sia messa alla prova. […] Il Signore non ama che si confonda la fede con la ragione, la speranza [espérance] con la speranza [umana] [espoir] (cf. Noi delle strade, 255s).

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