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Lunedì, 05 Ottobre 2020 07:34

La pace come cammino

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Raccontarci della tenerezza, dirci cosa succede quando la mano sfiora un viso, quando sentiamo il cuore piegarsi e quasi proiettarsi nel cuore dell’altro, quando la tenerezza ci fa sentire vicini. Tenerezza è usare gli occhi per vedere l'altro, usare le orecchie per sentire l'altro, per ascoltare il grido dei piccoli, dei poveri, di chi teme il futuro; ascoltare anche il grido silenzioso della nostra casa comune, della terra contaminata e malata.

La tenerezza è la strada che hanno percorso gli uomini e le donne più coraggiosi e forti. È la strada della solidarietà, la strada dell’umiltà. «Quanto più sei potente, quanto più le tue azioni hanno un impatto sulla gente, tanto più sei chiamato a essere umile, perché altrimenti il potere ti rovina e tu rovinerai gli altri». In Argentina si dice che il potere è come il gin preso a digiuno: ti fa girare la testa, ti fa ubriacare, ti fa perdere l’equilibrio e ti porta a fare del male a te stesso e agli altri, se non lo metti insieme all’umiltà e alla tenerezza. Con l’umiltà e l’amore concreto, invece, il potere – il più alto, il più forte – diventa servizio e diffonde il bene. Il futuro è nelle mani delle persone che riconoscono l’altro come un ‘tu’ e se stessi come parte di un ‘noi’. Abbiamo bisogno gli uni degli altri”.

“Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo!” A ben vedere, la tenerezza è davvero ciò che oggi più manca. Quante relazioni tra sposi o amanti vengono meno, viene meno la passione oppure finiscono per essere affette da violenza e mercificazione dell’altro, proprio perché manca la tenerezza; quante relazioni di amicizia ingrigiscono perché non si è capaci di rinnovare il legame con la tenerezza; quanti incontri non sbocciano in relazione per mancanza di tenerezza… Ecco perché la tenerezza deve vedersi ed essere riconosciuta su un volto: altrimenti il volto diventa rigido, duro, inespressivo!

 

“A dire il vero non siamo molto abituati a legare il termine PACE a concetti dinamici. Raramente sentiamo dire: “Quell’uomo si affatica in pace”, “lotta in pace”, “strappa la vita coi denti in pace”. 
Più consuete, nel nostro linguaggio, sono invece le espressioni: “Sta seduto in pace”, “sta leggendo in pace”, “medita in pace” e, ovviamente, “riposa in pace”. 
La pace ci richiama più la vestaglia da camera che lo zaino del viandante. Più il comfort del salotto che i pericoli della strada. Più il caminetto che l’officina brulicante di problemi. Più il silenzio del deserto che il traffico della metropoli. 
Più la penombra raccolta di una chiesa che una riunione di sindacato. Più il mistero della notte che i rumori del meriggio. Occorre forse una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo. La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale “vita pacifica”.Sì, la pace prima che traguardo, è cammino. E, per giunta, cammino in salita. Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi percorsi preferenziali ed i suoi tempi tecnici, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste. Se è così, occorrono attese pazienti. E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all’arrivo senza essere mai partito, ma chi parte. Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista, anche se mai - su questa terra s’intende - pienamente raggiunta” 
(Don Tonino Bello, da Paoline).

 

Gabriella Imperatore, FMA
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