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Mercoledì, 15 Maggio 2019 09:55

Donne migranti

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Donne migranti, il filo rosso che lega le loro storie riguarda la solitudine del percorso, dalla speranza della partenza alla difficoltà di inserimento e integrazione in nome della vita futura. Abbandonate a se stesse, intrappolate alle porte dell’Europa e dell’America, o in fuga dai paesi asiatici, le donne migranti sono vittime impotenti di tante violenze, molte sono promotrici di giustizia sociale, dei diritti delle donne e dei bambini.

 

Privazioni, perdite, sconforto, ma c’è anche la forza, la determinazione attraverso le quali si vincono le sfide più dure. La donna migrante sa di possedere una forza interiore, che si chiama “resilienza”, solo così riesce a superare la propria condizione di fragilità, mettendo in campo tutta la sua forza e l’orgoglio per integrarsi in tutti gli ambiti, sia lavorativi che relazionali.

«Voglio essere io a dire come mi chiamo», rivendica Geneviéve P., una migrante camerunense. La prima lotta è la lingua, un modo per riconoscersi e prendere possesso di se stessi. Di qui il desiderio impellente di scrivere per dare un ordine e un senso alle esperienze vissute.

La letteratura dà loro voce. Una voce che racconta di fughe dalla guerra e dalla miseria, di sacrifici e stenti, ma anche di quotidianità e conquiste. Di maternità, vissuta lontano dagli affetti e dalle tradizioni, d’identità perdute, di aspettative e delusioni, di coraggio e riscatto sociale. Ricordano la vita, gli usi e costumi del paese d’origine, parlano della loro realtà quotidiana, con le fatiche e le speranze di donne e di madri.

 

«Abbiamo qualcosa dentro il cuore, però non sappiamo come dirlo,
come spiegare a voi per farvi capire quello che sentiamo».

 

In questo cambiamento esistenziale, dopo aver sperimentato una duplice forma di esclusione, per il loro essere donne e straniere nello stesso tempo, le donne migranti vedono nella scrittura lo strumento più adatto a testimoniare la consapevolezza di un’identità diversa e più dignitosa. Tante le storie e varie, ciò che le accomuna è il percorso di liberazione interiore e di presa di coscienza della propria diversità e ricchezza. La narrazione nasce dal bisogno di non perdersi, di salvare anche ciò che si è lasciato dietro e diventa un’opportunità per uscire dal silenzio e per parlare, come soggetto femminile, rivelandosi apertamente e rielaborando il trauma della migrazione. «Oggi forse non ammazzo nessuno». È il titolo del racconto autobiografico di Randa Ghazy, giovane musulmana. Con un linguaggio fresco e giovanile, affronta in modo diretto e ironico, i pregiudizi della disinformazione, qualunquismo e ignoranza, con cui gli immigrati devono fare i conti. Jasmine, la protagonista, è di origine egiziana (come l’autrice), è una ragazza di vent’anni, in cerca di identità, insofferente sia alle imposizioni della propria cultura d’origine, che ai luoghi comuni sugli arabi, tipici dei suoi coetanei occidentali. Ha a cuore la sua religione e i valori della sua famiglia, ma continua a cercare una mediazione con lo stile di vita della sua quotidianità di studentessa occidentale. I diffusi pregiudizi sull’Islam non le rendono la vita semplice.

Il racconto esistenziale attraverso la scrittura letteraria restituisce alle donne migranti la dignità e il coraggio per cercare, in autonomia, il senso del proprio essere nel mondo e il significato di un’identità di donna e immigrata.

Si abbattono muri, ma il flusso delle donne migranti non si arresta! È necessario pensare a nuove politiche, a interventi di integrazione, a una pastorale migrante che le accompagni lungo tutto il percorso di piena integrazione e realizzazione sociale.

 

Gabriella Imperatore
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