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Sabato, 14 Agosto 2021 10:38

Cittadinanza per l’economia civile

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Cosa significa, oggi, cittadinanza generativa? Cosa significa essere generativi? In che modo possiamo contribuire a costruire la nuova società?

 

Papa Francesco nelle ultime due encicliche, Laudato si’ e Fratelli Tutti, ci chiama a custodire l’ambiente in cui abitiamo, a connetterci con le esigenze della nostra terra e di coloro che la abitano assieme a noi e, in più, ad essere artefici e creatori di una nuova società: una nuova cittadinanza in grado di essere generativa.

L’invito per innescare questo cambiamento ruota attorno allo schema che ci suggerisce il Pontefice: vedere-interpretare-agire. Il vedere comporta l’utilizzo di uno sguardo più ampio in grado di cogliere il grido della terra e dei poveri; l’interpretare rende visibile e ci aiuta a percepire in modo diverso il rapporto con ciò che ci circonda; l’agire ovvero accogliere il dono della fraternità e muoversi verso la realizzazione di un nuovo stile di relazione orientato alla promozione della cura.

Questi tre passaggi, questi tre elementi sono le basi per la costruzione di un nuovo futuro: il nostro atteggiamento verso il mondo non dovrà più essere visto come un atteggiamento passivo. Il nostro pianeta, i vostri fratelli e sorelle ci chiamano ad invertire la rotta: non dobbiamo più “prepararci per il futuro” bensì “preparare il futuro”, farlo attivamente perché noi siamo i veri protagonisti del futuro stesso.

La Comunità Educante, ancora di più, è chiamata ad agire per preparare un futuro assieme ai giovani ed innescare nuovi processi educativi, sempre più urgenti. Da cosa può partire questa missione se non dal carisma? Il carisma inteso come il dono di quegli occhi che sanno guardare oltre, il guardare le cose da un’altra prospettiva e generare qualcosa di nuovo. Quello stesso carisma che ha guidato Papa Francesco nell’affidare ai giovani di oggi il compito di ripensare ad una nuova economia.

Bene comune

L’esperienza Economy of Francesco ha mostrato come i giovani di oggi siano pronti a costruire una cittadinanza generativa perché, ancor prima di noi adulti, hanno capito che la terra sulla quale abitano e le persone con le quali condividono il mondo sono importanti e l’atteggiamento con cui approcciarsi ad entrambe le cose debba essere orientato alla promozione del bene comune.

Un bene comune inteso come il fine ultimo dell’essere umano, il punto massimo di fioritura dell’umanità; secondo la visione aristotelica, tutte le azioni compiute dall’essere umano dotato di virtù hanno come fine ultimo il raggiungimento della felicità, del bene comune. Il bene, quindi, è sempre relazionale. Non può esistere un bene per me che allo stesso tempo è nocivo per gli altri o per la natura. Se così fosse non potrebbe più essere chiamato bene comune.

Questa definizione di bene deve ricordarci che siamo tutti Paesi in via di sviluppo, che la nostra economia non deve misurare la ricchezza e il fabbisogno e guardare in quale posizione della classifica mondiale ci troviamo in base a questi elementi, ma lo schema di sviluppo da adottare dovrebbe essere quello a ciambella proposto dall’economista inglese Kate Raworth.

Per lei l’economia ha la forma di un cerchio, di una ciambella, e non di un grafico sugli assi cartesiani, dove per definizione ‘buono’ è verso destra, ‘buono’ è verso l’alto. Invece ‘buono’ è in equilibrio, e ha dei limiti, quelli di un pianeta che non ha risorse illimitate. E se misuriamo i paesi in base alla capacità di rispondere ai bisogni essenziali delle persone, rimanendo nei limiti del Pianeta, scopriremmo che siamo tutti paesi in via di sviluppo. Tutti abbiamo qualcosa da migliorare. Come esseri umani non possiamo permetterci di adottare comportamenti scorretti, ma dobbiamo riconoscere la natura finita del nostro pianeta. Adottare questa nuova visione di economia comporta iniziare ad essere generativi, essere coscienti di quanto possiamo produrre, consumare, sostenere e non sprecare.

Questo i giovani lo hanno capito prima di noi adulti. Nel manifesto di Economy of Francesco hanno scritto “noi giovani non tolleriamo più che si sottraggano risorse alla sanità, al nostro presente e al nostro futuro per costruire armi… Vorremmo raccontare ai nostri figli che il tempo della guerra è finito per sempre”.

Le loro lotte per il clima, per la salvaguardia del creato, contro le armi, devono interpellarci, chiamarci a lottare assieme a loro, a metterci al loro fianco, a dar loro fiducia. I nostri giovani sono pronti ad accogliere ed essere artefici del cambiamento, hanno l’entusiasmo giusto in grado di guidarli e sostenerli in questa impresa; noi adulti dove siamo? Il processo educativo da compiere deve analizzare tutti gli aspetti dell’ecologia integrale e non può non passare dall’imparare nel prenderci cura gli uni degli altri. Il Papa lo ricorda nella Fratelli Tutti: sappiamo fare tante cose, con le nuove tecnologie riusciamo ad arrivare ovunque vogliamo ma non siamo ancora in grado di stabilire quella relazione di responsabilità di cura nei confronti di chi non fa parte della nostra cerchia ristretta. (FT, n 64). Ottenere questa attenzione nei confronti della cura ci permette di conservare la nostra integrità umana perché, curandomi dell’altro, curo anche la mia persona e, quindi, il mio essere in relazione reciproca mi aiuta a sentirmi più umano.

I nuovi cittadini non saranno solamente i giovani ma possiamo essere anche noi ora, in questo tempo, se vogliamo essere artefici del cambiamento e non aspettare che ci sia qualcuno che faccia le cose per noi.

La cura

Come educatori dobbiamo stabilire quell’alleanza con i giovani per cambiare ciò che non funziona nel tessuto economico e sociale, ridurre le disuguaglianze, perché ogni persona possa fiorire nelle relazioni. L’educatore, come affermava san Giovanni Bosco, ha il compito di trovare un punto accessibile al bene che è presente in ogni giovane; oggi dovrebbe quindi, secondo la grammatica della cura, ricercare l’attitudine, la virtù del prendersi cura.

Il significato della cura viene spesso relegato all’atto di volontariato, all’atto gratuito, lo si associa solamente al fare senza ricevere denaro, senza ricevere un compenso. La gratuità va oltre la remunerazione: la gratuità è qualcosa di diverso, necessario per lo sviluppo di un’economia etica. La gratuità non è un atto di beneficenza ma una motivazione intrinseca che ci muove dall’interno. È la dignità con cui facciamo quello che facciamo. Se riusciamo ad accogliere questa nuova modalità di vedere la gratuità, di fare le cose in un certo modo perché è così che vanno fatte distaccandoci dalla ricerca incessante di massimizzare i profitti, allora avremo capito cos’è realmente un’economia etica.

Costruire un futuro sostenibile è possibile, e questo momento storico che stiamo vivendo ci indica ancora di più quanto sia necessario intervenire. Bisogna ripensare un’etica economica all’altezza delle aspettative delle nuove generazioni che chiedono il nostro contributo, supporto e fiducia, verso un’etica della cura per una nuova economia.

Una nuova economia è anche un’economia che si interessa della relazione e dell’altro, che ridistribuisce le risorse non in termini di “lavorare meno, lavoro per tutti” ma è dire che lavoro e cura di sé e degli altri sono due dimensioni che coesistono nella vita della persona che ci rendono più umani. Mi piace sempre ricordare quanto afferma la filosofa Jennifer Nedelsky: “tutti devono donare cura, e nessuno deve stare a casa disoccupato, e tutti devono avere un lavoro pagato, anche se lavoro part-time deve significare ‘buon’ lavoro”.

La nuova società dovrebbe ridistribuire il tempo in modo da non permettere che i ritmi di lavoro condizionino la vita delle persone, al contrario si renderà necessario riorganizzare il lavoro in modo da trasformare la percezione del tempo così da potersi dedicare non solo a tutte quelle attività che portano profitto e che permettono all’uomo e alla donna di mantenersi per poter vivere bensì ritrovare quel tempo per prendersi cura di tutto ciò che gli sta attorno.

Il processo educativo per ottenere un’economia più etica è prima di tutto iniziare a confrontarsi su quanto è presente oggi, su una società che possa essere più matura, dove tutti possano esprimersi come persone sia nel lavoro sia nella cura, di sé e degli altri.

I giovani con cui ogni giorno ci relazioniamo hanno le idee ben chiare, hanno già ascoltato il cosiddetto “grido della terra”, sono pronti a dedicarsi anima e corpo per mettere in moto il processo di cambiamento. Se davvero vogliamo promuovere una società generatrice e vedere il mondo che cambia, questo è il momento giusto!

 

Alessandra Smerilli, FMA 
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