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Mercoledì, 12 Maggio 2021 09:53

Una bussola per la vita

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Quale bussola per i giovani che manifestano il desiderio di ricercare e trovare risposte adeguate alle profonde inquietudini della vita? 

 

Il bisogno e la necessità di trovare adulti significativi. Il bisogno di essere ascoltati e di non sentirsi soli. La paura di sbagliare e di deludere le aspettative degli altri. Il pensiero di non sentirsi all’altezza. Il senso di smarrimento nel vedere ridimensionati i sogni e le speranze in un tempo incerto come quello segnato dalla pandemia mondiale. Sono queste le domande, ma anche la richiesta esplicita dei giovani di punti di riferimento appassionati e solidali.

Ascolto generativo

Ascoltare vuol dire saper considerare quella dimensione di mistero che è in ogni giovane.  Ci sono tanti modi di ascoltare: la curiosità, il bisogno di capire, il desiderio di stabilire con l’altro una comunicazione che può farsi sintonia profonda, condivisione, apertura al dialogo. Chi ascolta in modo autentico è sempre disponibile a rivedere le sue posizioni, a lasciarsi cambiare dall’incontro; comunica all’altro il suo interesse per lui e gli riconosce la dignità di interlocutore, portatore di un’esperienza, di un pensiero, di esigenze importanti.

Tutto questo è più evidente quando sono i giovani ad essere ascoltati e a mettersi in ascolto è la generazione di adulti che, a volte, si sente disorientata di fronte ad atteggiamenti e comportamenti che non riesce a comprendere.

Mettersi in ascolto dei giovani, del loro modo di interpretare la vita, delle loro attese e inquietudini, dei loro sogni e progetti è una maniera di includersi e accogliersi a vicenda. L’ascolto esige attenzione verso l’altro e la disponibilità a distogliere l’attenzione da sé e non pensare di conoscere i giovani, la loro storia, i sogni e le paure. I giovani sono portatori della novità da interpretare, del cambiamento antropologico che è in corso da quando lo sviluppo tecnologico ha cambiato la forma di entrare in relazione con la realtà, con se stessi, con gli altri, trasformando il modo di dare senso alle esperienze fondamentali della vita.

Ascoltando i giovani si intuisce la sofferenza che essi portano dentro di sé: il senso di solitudine che provano nell’affrontare una situazione inedita, lo smarrimento nell’orientarsi e trovare il proprio posto, la fatica nel mettere a frutto i talenti che sanno di avere e possono mettere a disposizione della società.

L’ascolto generativo è la capacità di tessere relazioni che possono aiutare i giovani a crescere, li sostenga e li aiuti a diventare attori di cambiamento nella società e nella Chiesa, per loro stessi e per la loro famiglia.  È la capacità di coinvolgere e coinvolgersi, per suscitare responsabilità e corresponsabilità nel promuovere la vita e vita abbondante per i giovani. Da questo ascolto può nascere una nuova alleanza tra le generazioni di giovani e adulti, ed è proprio nel confronto aperto e vivo con i più giovani, che il contributo degli adulti, alla vita della società e del mondo intero, potrà essere fecondo.

 

«La vita si decide nel rapporto con gli altri e con e in quella società che se saprà 
e potrà riconoscere il valore dei giovani perché possano metterlo a disposizione della collettività».

 

Adulti generativi

«Abbiamo bisogno di maestri, specie in questa fase caratterizzata dal Covid-19, nella quale ci sembra che la libertà di scelta ci sia stata tolta, e questo ci fa paura».

I giovani sono chiari: più che strategie, strumenti o metodi, chiedono persone. Adulti credibili disposti a spendere tempo con loro, che sanno accompagnare, dare ascolto e fiducia. È una domanda che rivolgono a tutti, alla famiglia, alla scuola, all’università, alla Chiesa, alla società. Non vogliono sentirsi dire continuamente che il loro futuro sarà più grigio di quello dei loro padri. Ciò che chiedono sono adulti generativi, motivati e carismatici. «Vi siamo riconoscenti se ci potete aiutare a realizzare quel che vogliamo essere, perché un sogno ce l’abbiamo e non vogliamo vederlo spegnersi come si spengono le stelle cadenti».

L’accompagnamento dei giovani non è solo “dire delle cose” ma è condividere del tempo, la convivialità, la concretezza esistenziale. È un movimento generativo di reciprocità che cambia anche colui o colei che accompagna, è un percorso e un processo in cui si cresce insieme. Occorre essere attenti e consapevoli del significato e del peso di ogni parola e di ogni gesto, ed è importante che gli adulti siano educatori/trici qualificati/e, preparati/e con serietà a un compito così delicato.

 

Io credo che valga sempre la pena di essere madri, padri, amici, fratelli…per la vita! E non voglio smettere di crederci!

 

«Uno dei problemi più difficili, oggi, dei giovani è che sono sradicati. Hanno bisogno di ritrovare le radici per andare avanti», dichiara Papa Francesco. È necessario che i giovani incontrino gli anziani per conoscere la terra e la fede che li hanno generati e possano a loro volta costruire un tessuto vitale fatto di legami, di appartenenza reciproca, di progetti comuni. «Affinché i giovani abbiano visioni, siano 'sognatori', possano affrontare con audacia e coraggio i tempi futuri, è necessario che ascoltino i sogni profetici dei loro padri», ha ripetuto il Papa lanciando la sfida agli adulti: «aiutiamo i giovani a ritrovare le radici. Loro ci metteranno le ali».

Omero Romeo, l’insegnante divenuto cieco – come il suo celebre omonimo greco – e chiamato, come supplente di Scienze, in una classe problematica – di cui l’insegnante dice, con una metafora sonora, che “canta una infelicità corale, a cui ciascuno partecipa con un timbro inconfondibile” – che deve affrontare gli esami di maturità, dà inizio alla sua avventura educativa in modo inedito e rivoluzionario. Non potendo vedere i volti inventa un nuovo modo di fare l’appello: “Dare un nome proprio e dare alla luce sono la stessa cosa. Per riuscire a insegnare devo concentrarmi sulla presenza dei ragazzi e non sulle mie aspettative, devo lasciare che siano loro a venire alla luce e non io a illuminarli”. L’appello diventa una chiamata vera e piena, una convocazione che si fa vocazione per i dieci ragazzi ripetenti, aggressivi e più fragili che, per la prima volta, provano a raccontarsi, a mostrarsi a chi, pur senza vederli, riesce a riconoscerli uno a uno. Il maestro accompagna per mano i suoi allievi: non già a un esame finale, ma a un’assunzione di responsabilità in un percorso di formazione vissuto appieno. L’obiettivo è guidarli verso la crescita, per aiutarli a diventare ciò che ciascuno di loro è destinato ad essere nella società. Un rapporto autentico tra maestro e discepolo, una relazione dinamica in cui entrambi insegnano e imparano, disponibili a mettersi in gioco e a guardare la realtà con occhi nuovi. (Cf Alessandro D’Avenia, L’appello, Mondadori, Milano 2020).

I giovani non hanno bisogno di prediche, di grandi discorsi e riflessioni, ma di testimoni credibili: persone in grado di rendere evidente ciò che nella propria vita ha dato frutto e in grado di promettere che quel frutto è accessibile anche a loro. «Abbiamo bisogno di adulti che ci ricordino quanto è bello sognare in due! Abbiamo bisogno di adulti che pazientino nello starci vicino e che ci insegnino la pazienza di stare accanto; che ci ascoltino nel profondo e ci insegnino ad ascoltare, piuttosto che ad avere sempre ragione!».

Gli adulti sono chiamati alla generatività, alla pienezza, alla bellezza, che è “la quantità di vita che si riesce a mettere al mondo”. La bussola per la vita è l’accompagnamento generativo di chi si prende cura, ascolta, affida delle responsabilità, facendo crescere le persone per poi lasciarle andare.

 

Gabriella Imperatore, FMA 
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