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Domenica, 28 Maggio 2017 11:22

I giorni della misericordia

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Beato chi trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore (Sl 83). La vita è un pellegrinaggio – scrive Papa Francesco in un messaggio al cardinale Gianfranco Ravasi, in occasione della seduta comune delle Pontificie Accademie – e l’essere umano è un viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata».

 

Percorrere un cammino, fare un pellegrinaggio significa posare i propri passi e la propria storia su un percorso millenario vicino alla storia di quanti ci hanno preceduto. Ascoltare, nel silenzio, il proprio passato e andare verso un futuro incognito guidati dalla ricerca profonda del proprio io.
Il pellegrinaggio è uno degli elementi che qualifica l’Anno Santo, ed è una delle immagini classiche che sintetizza la vita della Chiesa e del singolo cristiano: «Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio – si legge al n. 14 della Misericordiae vultus –. Il pellegrinaggio, quindi, è stimolo alla conversione». Un senso interiore di ricerca e di attenzione vigile.


Pellegrini e pellegrinaggio

“Pellegrino” deriva dal latino peregrinus (etimologicamente “per ager”, attraverso il campo) e indica il viaggio, o meglio il vagare di qualcuno che è straniero. Nel corso del tempo, però, il termine ha assunto un significato più preciso: il pellegrino è colui che si mette in viaggio per affari, per incontrare qualcuno della famiglia, spinto dalla curiosità intellettuale. Il pellegrinaggio, così come lo si coglie nella storia, evidenzia alcune componenti essenziali e ricorrenti: la strada percorsa, un luogo a cui giungere, una motivazione profonda, che induce all’incontro con il mistero. Questi elementi sono presenti, in modi differenti a seconda delle religioni e delle culture: alcune privilegiano la strada e le fatiche compiute dal pellegrino; altre mettono l’accento sul “centro”, il luogo sacro dove avviene l’incontro del pellegrino con il mistero.

Si è viaggiato nell’antichità e si continua a viaggiare oggi per affari, per turismo, per la sete di conoscere paesi esotici, per ragioni culturali.
Ai nostri giorni la globalizzazione ha rafforzato l’idea della libera circolazione, di un mondo senza frontiere, dove tutti si è “in rete”. Si ha la sensazione di un mondo a più livelli e a più velocità di marcia, dove però i confini tra i vari livelli non sono così fragili e fluidi come si vorrebbe far credere. Il concetto di liquidità (Zygmunt Bauman) funziona come stile di vita della parte ricca dell’umanità. Invece per la parte povera ogni confine, spesso invisibile, è un muro molto duro da oltrepassare. Lo dimostra il Mediterraneo, confine “liquido” tra Africa e Europa: chi lo attraversa incontra spesso la “dura” morte per annegamento; e quanti riescono ad arrivare devono affrontare peripezie, rifiuti, altri muri, attese, clandestinità.
Il pellegrinaggio scandisce anche il nostro tempo: migliaia sono le presenze annuali lungo il cammino di Santiago de Compostela e sulla via Francigena. Pellegrini raggiungono a piedi i santuari tradizionali, locali. Ogni anno la comunità di Taizé promuove il “pellegrinaggio di fiducia sulla terra”. I giovani della GMG Cracovia 2016, nei mesi scorsi, si sono fatti pellegrini insieme a Papa Francesco. E il Giubileo straordinario della Misericordia, che si è concluso, è stato non un punto di arrivo, ma di partenza per i fedeli che hanno raggiunto Roma e le altre basiliche giubilari sparse nel mondo.


Parabola di conversione

Il pellegrinaggio è un viaggio religioso. La persona non è solo homo faber o homo oeconomicus, proprio perché è essenzialmente homo religiosus si trova nella condizione dell’homo viator

La celebre pellegrina cristiana Eteria inizia il suo resoconto di viaggi scrivendo: «Ego sum curiosa». La storia dell’umanità è storia di uomini e donne “curiosi”, di cercatori, di pellegrini amanti dell’avventura spirituale. Per questo il viaggio è parabola dell’esistenza umana, sempre incompiuta, finché non riposerà in Dio. Finché è sulla terra, ogni uomo e donna è come Abramo, un “pellegrino” chiamato a credere e perciò a camminare, ad andare.
Il pellegrino e il pellegrinaggio esprimono, dunque, il movimento della conversione a cui siamo chiamati: una risposta al “qui” e all’“oggi” della Grazia, che irrompe nella storia quotidiana di ogni persona, dell’umanità, dei popoli, del mondo. Come il popolo pellegrino d’Israele, come Cristo pellegrino sulle strade della Galilea e della Giudea, come la Chiesa pellegrina nei millenni del tempo e della storia.
È nel “pellegrinare” che si compie, quale “segno” efficace, un cammino di distacco dell’esistenza tra un prima e un dopo verso il Signore. Tappe di quel «santo viaggio» deciso nel cuore (Sl 83) verso il Regno, un cammino di conversione, che diventa reale se sorretto da un’opportuna catechesi e vita sacramentale.
È importante “diventare pellegrini”, perché gli atteggiamenti del muoversi, dell’avanzare, del faticare, del sostare, del cambiare percorso, dell’arrivare, propri del cammino umano e dei percorsi interiori verso la profondità dell’essere e dell’agire, entrino nella vita e la trasformino, la rinnovino.
Diventare pellegrini là dove si è e si vive, dove ci si affatica e dove ci si affanna, dove si gioisce e dove si piange. I giorni della misericordia, sono lì, quando Dio ci prende e ci invita a lasciarlo entrare. Come Zaccheo: «Scendi, perché oggi vengo a casa tua».

«Signore, tuo è il giorno. E io sono del giorno» (Dag Hammarskiöld)


Paolo Curtaz ne fa un curioso commento: «Dio ti cerca, lui prende l’iniziativa; Dio ti ama, senza giudicarti. Noi cerchiamo colui che ci cerca. La nostra vita è una specie di rimpiattino, lasciamoci raggiungere, finalmente! Gesù non giudica Zaccheo, lo aspetta. L’amore di Dio precede la nostra conversione. Dio non ci ama perché siamo buoni ma, amandoci ci rende buoni. Gesù non chiede, dona, senza condizioni. Se Gesù avesse detto: “Zaccheo, so che sei un ladro: se restituisci ciò che hai rubato quattro volte tanto, vengo a casa tua”, credetemi, Zaccheo sarebbe rimasto sull’albero. Dio precede la nostra conversione, la suscita, ci perdona prima del pentimento, e il suo perdono ci converte: è talmente inaudita e inattesa la salvezza, che ci porta a conversione. L’incontro con Zaccheo conclude la vita pubblica di Gesù. Da Gerico a Gerusalemme mancano meno di trenta chilometri. A Gerusalemme Gesù morirà. Solo i curiosi incontrano il Maestro. Non importa quale sia la loro vita o i loro limiti: lo sguardo del Signore, la sua accoglienza, la sua benevolenza scioglie le nostre tenebre e ci rende nuovi, ci fa santi. Eccoci, amici, discepoli. Chi vuole seguire Rabbì Gesù batta un colpo, scenda dall’albero, si schieri. Non importa chi sei, né quanta strada hai fatto o che errori porti nel cuore. Non importa se scruti il passaggio del Rabbì per curiosità».
L’oggi è il giorno, l’adesso in cui Gesù vuole entrare nella tua casa. E allora, «Signore, tuo è il giorno. E io sono del giorno» (Dag Hammarskiöld).


Praticare, amare, camminare

Il profeta Michea delinea una connessione diretta tra ciò che è buono e ciò che richiede il Signore, tra il camminare e il convertirsi: «Ti è stato insegnato – scrive – ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6, 8).

È il sigillo di Dio in ciascuno, il seme che egli ha posto nel cuore di ogni creatura. Seguire il triplice consiglio di praticare, amare e camminare: migliorerà se stesso e il mondo nella bontà, perché questo è ciò che è buono. Coerenza tra pensare e agire, tra dire e operare. Lasciarsi abitare dalla mitezza, dalla nonviolenza, dalla comprensione profonda verso le persone, gli eventi, la storia.
È bella l’immagine del credente che cammina con Dio: una strada percorsa uno accanto all’altro, uno nella mano dell’altro. Se non si cammina con Dio si perde il senso della propria statura e ci si crede i soli, gli unici. Si rischia di diventare noi stessi la misura di tutto.
Il Pontificato di Papa Francesco è iniziato nel segno della Misericordia. Non si è dimenticato il primo Angelus da lui pregato alla finestra di quella prima domenica. È da allora che richiama a non stancarsi di chiedere perdono, per-
ché Dio «mai si stanca di perdonare». Dall’8 dicembre 2015, milioni sono le persone che, nelle diverse parti del mondo, hanno varcato le Porte della Misericordia. È ancora Papa Francesco che spiega il senso profondo di questo gesto: «attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi».


Varcare la Porta

Michela La Pietra è una giornalista, che il 23 aprile 2016 era tra i circa duecento pellegrini di RAI Saxa Rubra che hanno varcato la Porta Santa della basilica di San Pietro per il pellegrinaggio giubilare. 

«Il pellegrinaggio ha avuto risvolti diversi: la riflessione su quello che stavamo facendo, vivere in prima persona l’esperienza di questo anno giubilare, che molti colleghi si trovano a raccontare per lavoro; dare una testimonianza di fede muovendoci tra gli altri pellegrini e pregando a voce alta, cosa che non succede spesso nella vita quotidiana. Sperimentare la misericordia, il perdono, è l’unico modo per essere misericordiosi e perdonare a nostra volta […]. Mons. Fisichella incontrando artisti e comunicatori, all’inizio di quest’anno, diceva che li unisce il dovere di annunciare la bellezza e la verità. La bellezza incarna la verità e la verità se non è bella è priva di qualcosa. La Misericordia è la verità di Dio. Annunciare e comunicare questa verità significa farsi strumento della Misericordia.
Come può un giornalista farsi strumento della Misericordia nel suo lavoro?
La consapevolezza di ricevere la misericordia di Dio sempre e comunque ci dovrebbe rendere più forti e più profondi, quindi nella ricerca della verità certamente più obiettivi… e sicuramente parlare di misericordia, un argomento che al giorno d’oggi sembra poco trattato, come strumento di amore, gioia e felicità, potrebbe scatenare un’influenza virale a usare misericordia in tutti i luoghi e con tutti.
Che cosa ti resta di questa esperienza?
La libertà di chi si sente amato anche se imperfetto. Sono andata lì per ascoltare il Signore. L’essenza dell’esperienza è aver sperimentato il perdono di Dio: siamo amati e perdonati così come siamo. Dio è lì per noi. Non viene da Lui quel senso di colpa che ci opprime, quando ci portiamo dietro le nostre colpe come un fardello. Dobbiamo saperci e sentirci amati con tutti i nostri difetti e quando ti senti amata poi riesci a perdonare e il perdono ti rende libero» (Da un’intervista pubblicata su Zenit.org).


Misericordia ricevuta e donata

La testimonianza di Michela conferma che la misericordia s’impara con l’esperienza, in noi, prima di tutto. Così Paolo interpreta la sua conversione: «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna» (1Tim 1,12-16). Paolo ci ricorda che il modo in cui Dio si è avvicinato alla sua vita è ciò che ha fatto di lui un apostolo: “mi è stata usata misericordia”. A renderlo discepolo è stata la fiducia che Dio ha riposto in lui nonostante i suoi molti peccati. La misericordia s’impara sentendo che Dio continua a confidare in noi e continua a invitarci a trattare i nostri fratelli allo stesso modo in cui Lui ci tratta e ci ha trattati. La misericordia s’impara, perché il Padre continua a perdonarci. 

“Imparare a trattare con misericordia è imparare dal Maestro a renderci vicini, senza aver paura di quelli che sono stati scartati o che sono “macchiati” e segnati dal peccato. Imparare a dare la mano a chi è caduto, senza aver paura dei commenti. Ogni atteggiamento non misericordioso, per quanto giusto appaia, finisce col diventare maltrattamento. L’ingegno starà nel potenziare i cammini di speranza, quelli che privilegiano l’atteggiamento buono e fanno risplendere la misericordia” (Papa Francesco, Videomessaggio Giubileo Straordinario della Misericordia nel Continente Americano, Bogotà, 27-30 agosto 2016).


«Quali che siano i sentieri per i quali v’incamminate, fate ciò con speranza e fiducia: speranza nel futuro che, con l’aiuto di Dio, voi potete costruire; fiducia nel Dio che veglia su di voi in tutto ciò che dite e fate. Quelli di noi che vi hanno preceduto desiderano condividere con voi un profondo impegno per la pace. Quelli che sono vostri contemporanei, si uniranno a voi nei vostri sforzi. Quelli che verranno dopo di voi, si ispireranno a voi nella misura in cui cercherete la verità e vivrete secondo autentici valori morali» Papa Giovanni Paolo II (Messaggio per la XVIII Giornata Mondiale della Pace 1985).


Quel vertice di com-passione, da cui scaturisce l’amore di Dio nei confronti della miseria umana, parla ancora ai nostri giorni e spinge a dare sempre nuovi segni di misericordia. La verità della misericordia, infatti, si riscontra nei nostri gesti quotidiani che rendono visibile l’agire di Dio in mezzo a noi. La misericordia umana non diventa tale – cioè umana e misericordiosa – fino a quando non ha raggiunto la sua concretezza nell’agire quotidiano.

 

Pellegrini della misericordia nella Patagonia
L’11 novembre 1875, Don Bosco, nel saluto ai suoi primi missionari che partivano per l’Argentina, dal pulpito del Santuario di Maria Ausiliatrice, pronunciava queste parole: «Noi diamo principio ad una grande opera. Chi sa che non sia questa partenza e questo poco come un seme da cui abbia a sorgere una grande pianta? Chi sa che non sia come un granellino di miglio o di senapa che a poco a poco vada estendendosi, e non sia per fare un gran bene?». E fu, il giovanetto Giovanni Cagliero, diventato Mons. e poi Cardinale, che diede sviluppo alla prima missione di Don Bosco nella campagna della Patagonia. Consacrando per più di un ventennio le sue energie a quella e in quella missione, pellegrinò e percorse non solo la Patagonia, ma anche la Pampa, quando vi mancavano le vie di comunicazione, si spinse a cavallo in mezzo alle tribù degli Indi dei quali molti battezzò di sua mano, affrontò numerosi e lunghi viaggi, tanto da poter essere considerato il campione dei missionari ambulanti (pellegrini!). In questi viaggi, quante privazioni, quanti pericoli! In queste peregrinazioni non di rado fu suo letto la nuda terra, suo cibo la carne dura avvoltolata nella cenere, bevanda l’acqua del fiume (Fasulo A., Missioni Salesiane, Torino, SEI 1925, pp.23-24).


I verbi della misericordia

Le porte sante della terra, le porte del Signore, quali sono? Si domanda Ermes Ronchi, e conclude affermando che non ha nessun senso passare per la Porta santa della cattedrale e non passare per la porta santa di un povero, di un malato, non far varcare la porta di casa tua a uno che ha fame, la porta del cuore a uno che è solo. Non ha senso chiedere misericordia a Dio, e non offrirla al tuo vicino. Se il Giubileo non tocca la vita, non è giubileo. Il Giubileo sarà santo se scriveremo la nostra pagina, la nostra riga, il nostro frammento di un racconto amoroso, con le nostre mani. La misericordia è un’arte che s’impara, coniugando tre verbi: “vedere”, “fermarsi”, “toccare”, i primi gesti del Buon Samaritano.

Vedere. «Lo vide e ne ebbe compassione». Il samaritano vede e si lascia ferire dalle ferite di quell’uomo. La misericordia inizia con lo sguardo non giudicante del Vangelo: «Il primo sguardo di Gesù nei vangeli non si posa mai sul peccato delle persone, ma sempre sul loro bisogno» (Johann Baptist Metz). Molte volte i vangeli riferiscono che Gesù, «mentre camminava, vide» (Mt 4,18); camminava e abitava la vita, ben presente a tutto ciò che accadeva nel suo spazio vitale; sapeva guardare negli occhi: (Gv 20,13) e scoprire nel riflesso di una lacrima una promessa, un desiderio.
Fermarsi. Per vedere bene, che sia un volto, un paesaggio, un’opera d’arte o un povero, non puoi accelerare il passo, ti devi fermare. E non «passare oltre», come il sacerdote e il levita della parabola. Oltre non c’è niente, tantomeno Dio. C’è un solo modo per conoscere un uomo, Dio, un Paese, una ferita: fermarsi, inginocchiarsi, e guardare da vicino. Guardare gli altri a millimetri di viso, di occhi, di voce. Guardare come bambini e ascoltare come innamorati, in silenzio.
Toccare. Ogni volta che Gesù si commuove, si ferma e tocca. Tocca l’intoccabile: il lebbroso, il cieco, la bara del ragazzo di Nain. Toccare è parola dura, che ci mette alla prova, perché non è spontaneo toccare, non dico il contagioso o l’infettivo, ma anche il mendicante. Fai la tua elemosina e lascia cadere la tua monetina dall’alto, guardandoti bene dal toccare la mano che chiede, mantenendo la distanza di sicurezza, senza rivolgere un saluto, una parola. E il povero rimane un problema anziché diventare una fessura d’infinito. Il tatto è un modo di amare, il modo più intimo; è il bacio e la carezza. E apre stagioni nuove. Vedere, fermarsi, toccare: piccoli gesti. Ma la notte comincia con la prima stella, il mondo nuovo con il primo samaritano buono (Ermes Ronchi, Il Messaggero di Sant’Antonio, Gennaio 2016).

 

Il nuovo giorno (Tratto da Madeleine Delbrêl, Il piccolo monaco, Gribaudi Editore, Torino 1990)
Inizia un altro giorno.
Gesù vuol viverlo in me. Lui non si è isolato.
Ha camminato in mezzo agli uomini.
Con me cammina tra gli uomini d’oggi.
Incontrerà
ciascuno di quelli che entreranno nella mia casa,
ciascuno di quelli che incrocerò per la strada,
altri ricchi come quelli del suo tempo, altri poveri,
altri eruditi e altri ignoranti,
altri bimbi e altri vegliardi,
altri santi e altri peccatori,
altri sani e altri infermi.
Tutti saranno quelli che egli è venuto a cercare.
Ciascuno, colui che è venuto a salvare.
A coloro che mi parleranno, egli avrà qualche cosa da dire.
A coloro che verranno meno, egli avrà qualche cosa da dare. […]
Gesù, dappertutto, non ha cessato d’essere inviato.
Noi non possiamo esimerci d’essere,
in ogni istante,
gl’inviati di Dio nel mondo.
Gesù in noi, non cessa di essere inviato,
durante questo giorno che inizia,
a tutta l’umanità, del nostro tempo, di ogni tempo,
della mia città e del mondo.
Attraverso i fratelli più vicini ch’egli ci farà
servire, amare, salvare,
le onde della sua carità giungeranno
sino in capo al mondo,
andranno sino alla fine dei tempi.


Una misericordia che diventa pedagogia

Nel sogno dei nove anni, Giovannino Bosco, ascolta l’insegnamento che fonda la sua pedagogia: «Non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai acquistare questi tuoi amici»

È proprio l’amorevolezza uno dei cardini del Sistema preventivo, un atteggiamento intriso di misericordia che ha caratterizzato la vita e la missione di Don Bosco e che deve identificare l’educazione salesiana.
L’amorevolezza è un insieme di gesti concreti che infondono stima e fiducia nell’educando, elementi essenziali per favorire una sua continua crescita verso il bene, il bello e il buono. «Si otterrà più con uno sguardo di carità, con una parola d’incoraggiamento che dia fiducia al cuore, che con molti rimproveri, i quali non fanno che inquietare», afferma Don Bosco.
Senza dubbio, questa sua convinzione rivela che al centro della sua spiritualità si trova la concezione di Dio, Padre misericordioso e provvidente, sempre pronto a perdonare e ad accogliere i suoi figli che pentiti ritornano a Lui (Fasc. “Esercizio di devozione alla misericordia di Dio”, scritto quando DB aveva trentun anni, pubblicato nel 1847, agli inizi del suo ministero sacerdotale).
L’amore, la carità, la misericordia si rivela anche nella vita e nella missione di Maria Domenica Mazzarello. Dall’accettazione generosa di curare i suoi parenti affetti dal tifo, all’offerta della propria vita per la santità delle sue figlie, il suo itinerario spirituale rivela un cuore fortemente radicato nel cuore stesso di Gesù. Un’espressione molto forte di questa sua spiritualità, che diventa pedagogia della misericordia nell’accompagnamento delle sue figlie, si trova nella Lettera n. 26.4, indirizzata alle suore della casa di Montevideo-Villa Colón, scritta l’11 settembre 1879: «Il mio cuore […] continuamente intercede benedizioni per voi tutte, onde possiate vestirvi veramente dello Spirito del nostro buon Gesù, quindi far tanto bene per voi e pel caro prossimo tanto bisognoso d’aiuto. Sì, ma come era lo Spirito del Signore?... quello spirito umile, paziente, pieno di carità, ma quella carità propria di Gesù, la quale mai lo saziava di patire per noi e volle patire fino a quando?... Coraggio adunque, imitiamo il nostro carissimo Gesù in tutto, ma specie nell’ umiltà e nella carità, davvero neh!... Pregate anche per me che possa ancor io far così».
Un insegnamento maturato nella propria vita, che ha portato Main a lasciarsi plasmare dallo Spirito come una donna forte, ricca di misericordia e di compassione verso tutti.

 

Canto di viaggio
O sole, entrami luminoso nel cuore,
o vento, disperdi con il tuo soffio pene e malanni!
Non conosco sulla terra gioia più profonda
dell’essere in viaggio in Paesi lontani.
Verso la pianura dirigo i miei passi,
il sole deve bruciarmi, il mare rinfrescarmi;
per partecipare alla vita della nostra terra
dischiudo festosamente tutti i miei sensi.
E così ogni giorno novello deve
indicarmi nuovi amici, nuovi fratelli,
finché senza pena posso mettere in luce ogni energia,
essere amico e ospite di tutte le stelle.
(Hermann Hesse)

Maria Antonia Chinello - Julia Arciniegas
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