L’eredità dei miti

Articolo_editoriale_03dma2023
Dai tempi di Caino e Abele, il dramma della guerra si perpetua ancora nella storia, nonostante l’ingegno umano abbia operato notevoli progressi in tutti i campi, che hanno reso più “civile” la nostra società. La violenza, l’aggressività, il mancato rispetto delle persone e dell’ambiente sembrano essere componenti costitutivi della natura umana. Certo, il conflitto fa parte del nostra vita, riveste i nostri rapporti, ma può risolversi in preziosa occasione di crescita personale e comunitaria o, al contrario, può rinchiuderci nella corazza dell’odio, della prepotenza, del narcisismo.

Nel corso dei secoli, voci autorevoli e alternative all’ondata di violenza che avvolge la Terra, suggeriscono la mitezza come valido antidoto ai mali di tutti i tempi, siano essi grandi conflitti o spaccati di vita quotidiana.

Per Aristotele la mitezza “consiste nella capacità di sopportare in modo misurato le accuse e gli atteggiamenti di disprezzo, senza lasciarsi trascinare rapidamente dall’impulso alla vendetta, nel fatto di non essere pronti all’ira, nel fatto di essere di carattere dolce e pacifico, di avere tranquillità e quiete nell’anima” (Aristotele, Sulle virtù e i vizi). Si tratta di imparare a gestire le proprie emozioni, in un continuo esercizio interiore per consolidare uno stile di vita, che all’urlare per sentirsi forti contrappone la conquista dell’autorevolezza, alla corsa sfrenata al possesso la sobrietà, all’aggressività il rispetto, al “tutto e subito” la lungimiranza.

Famoso è “L’elogio della mitezza” del grande filosofo Noberto Bobbio, che, pur non abbracciando la fede cattolica, riconosce il valore di questa “virtù debole e nello stesso tempo potente” e, mentre la definisce “la più impolitica delle virtù”, la considera l’antidoto al degrado della politica. Lontano dall’idea evangelica di condizione necessaria per conquistare il Paradiso, Bobbio riconosce in essa la possibilità di migliorare la vita su questa terra. «La mitezza non rinuncia alla lotta per debolezza o per paura o per rassegnazione», anzi «vuole essere come un seme efficace piantato nel terreno della storia per il progresso, per la pace, per il rispetto della dignità di ogni persona. Ma aspira a raggiungere questo scopo rifiutando la gara distruttiva della vita, la vanagloria e l’orgoglio personale e nazionalistico, etnico e culturale, scegliendo la via del distacco dalla cupidigia dei beni e l’assenza di puntigliosità e grettezza».

In realtà, è in linea con la voce più eloquente di tutti i tempi: l’esempio di Cristo, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), che ribalta le logiche del mondo: «Beati i miti perché erediteranno la terra» (Mt 5,5). I miti “non conquistano la terra – spiega Papa Francesco – la ereditano. […] Allora il mite è colui che “eredita” il più sublime dei territori. Non è un codardo, un “fiacco” che si trova una morale di ripiego per restare fuori dai problemi. Tutt’altro! È una persona che ha ricevuto un’eredità e non la vuole disperdere. Il mite non è un accomodante ma è il discepolo di Cristo che ha imparato a difendere ben altra terra. Lui difende la sua pace, difende il suo rapporto con Dio, difende i suoi doni, i doni di Dio, custodendo la misericordia, la fraternità, la fiducia, la speranza”.

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