Sinodalità ed ecologia integrale

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Si è da poco chiusa la Cop 29, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. E come ogni anno i risultati sono molto deludenti: si è d’accordo sui principi, sul fatto che occorra agire in fretta, ma all’atto pratico nulla, o quasi, si muove.

La Cop29, tenutasi a Baku, capitale dell’Azerbaigian, ci ha fatto assistere alla battaglia dei ricchi contro i poveri, dove ai poveri sono state riservate le briciole che cadono dalla tavola dei ricchi. E, intendiamoci, i paesi poveri non hanno quasi nessuna responsabilità di fronte a quello che si sta vivendo a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici. Ma sono loro a portarne le conseguenze più grandi. Non è questione di beneficenza, è questione di giustizia, o meglio di ingiustizie che continuano a perpetuarsi nella storia. Papa Francesco, nella Laudato Si’ ha evidenziato che i Paesi più ricchi (e più inquinanti) hanno contratto un vero e proprio “debito ecologico” nei confronti dei Paesi più poveri. Scrive, infatti, nel n. 52: “In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. La terra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso”. E nel messaggio inviato alla Cop leggiamo: “Occorre compiere sforzi per trovare soluzioni che non minino ulteriormente lo sviluppo e la capacità di adattamento di molti Paesi sui quali già grava il fardello di un debito economico opprimente… è importante ricordare che il debito ecologico e il debito estero sono due facce della stessa medaglia che ipotecano futuro.”

In un contesto complicato come questo, la prospettiva sinodale ci offre strumenti per il cammino. 

Il Sinodo dei vescovi sulla sinodalità ha sottolineato come una Chiesa solidale sia anche una Chiesa profetica. Nel Documento Finale leggiamo: “Praticato con umiltà, lo stile sinodale può rendere la Chiesa una voce profetica nel mondo di oggi” (n.47). Infatti, in un mondo segnato da guerre, divisioni, polarizzazioni, mancanza di dialogo, sfruttamento della nostra casa comune, “pratiche autentiche di sinodalità permettono ai Cristiani di elaborare una cultura capace di profezia critica nei confronti del pensiero dominante e offrire così un contributo peculiare alla ricerca di risposte a molte delle sfide che le società contemporanee devono affrontare e alla costruzione del bene comune” (ib).

Vivere con uno stile sinodale è porsi all’ascolto di tutti, ma soprattutto dei più poveri, di coloro che sono scartati, esclusi, emarginati. Diventa un antidoto in un mondo dove il potere di pochi, anche negli strumenti di comunicazione, lascia fuori le minoranze, i poveri, gli emarginati, e purtroppo anche il rispetto della nostra casa comune. 

Guardare il mondo a partire dalle periferie, in qualunque contesto ci troviamo a vivere, ci rende lo sguardo più puro, ci aiuta prendere le decisioni, anche quelle pastorali, più giuste, più profetiche. 

Lavorare per una Chiesa sinodale vuol dire lavorare in una prospettiva di ecologia integrale: “Sinodalità ed ecologia integrale assumono entrambe la prospettiva delle relazioni e insistono sulla necessità della cura dei legami: per questo si corrispondono e si integrano nel modo di vivere la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo” (n.48). E questa è la missione della Chiesa: “L’impegno per la difesa della vita e dei diritti della persona, per il giusto ordinamento della società, per la dignità del lavoro, per un’economia equa e solidale, per l’ecologia integrale fanno parte della missione evangelizzatrice che la Chiesa è chiamata a vivere e incarnare nella storia” (151).

Nonostante i problemi che vediamo nel mondo, anzi, forse proprio a partire da essi, la missione evangelizzatrice ci chiede di mantenere alta la Speranza, non solo quella che riponiamo negli altri fratelli e sorelle, ma soprattutto quella che riponiamo in Dio. E con gratitudine riconosciamo che Dio mai si stanca di sperare in noi, di fidarsi di noi, di amarci.

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