Spesso il nostro desiderio di camminare insieme si traduce in tanti progetti e propositi e la grandezza con cui li pensiamo rischia di farci perdere di vista lo stile del Vangelo, rinchiudendoci nella nostra mania di efficienza e dimenticando la semplicità necessaria per costruire il Regno. Ricordiamo, invece, la logica del seme. Il nostro compito è infatti seminare e al contempo cercare di essere, come persone e come comunità cristiana, un seme del Regno. Un seme che diviene albero. Un albero che non celebra la propria maestosità, ma la vita. Un albero il cui scopo non è farsi rispettare, imporsi all’attenzione o dominare gli altri, ma offrire a tutti coloro che accoglie un ristoro perché «quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» (Mc 4, 32).
Sforziamoci di abbandonare la logica del mondo, quella che non rispetta i tempi delle persone, quella preoccupata di portare avanti i propri progetti e le proprie idee più che di servire gli altri, quella autoreferenziale che non guarda a Dio ma all’io! Gesù, anche oggi, ci chiede di fidarci di Lui, della terra fertile della sua Parola, una terra rigogliosa e generosa, in cui il nostro piccolo seme necessita di praticare l’arte paziente dell’attesa.
Ogni tempo è sempre un nuovo inizio
La vita è un eterno fiorire e rifiorire, una crescita silenziosa, lenta e inarrestabile, non sulla cima di una montagna, ma nell’orto di casa, con il vento che accarezza e nutre. Un inizio umile e una crescita straordinaria. Ovunque ci troviamo nel nostro cammino, è sempre un nuovo inizio. In questo mistero del piccolo che racchiude l’infinito, sentiamo il battito di un amore eterno che si fa tangibile nel quotidiano. La nostra vita, simile a un seme, porta il segno di un continuo divenire, di una fioritura che non conosce fine. E così, nella trama della storia, vediamo crescere un albero di vita che abbraccia l’intera umanità, invitandoci a trovare pace e rifugio sotto i suoi rami estesi. In questo abbraccio universale, troviamo la certezza che ogni tempo è una promessa di resurrezione e di speranza. Sì, perché niente e nessuno potrà impedire alla seminagione di Dio di far fiorire la salvezza, la giustizia, la pace!

E anche se questo cammino di gestazione affronta tempeste e tempi di siccità, continuiamo a fidarci di Colui che si prende cura della nostra vita e facciamolo prendendoci cura a nostra volta degli altri, condividendo la Via Crucis di tante persone che ci sono state affidate. Già, affidate! Non smetto mai di meravigliarmi di questo continuo affidamento che il Signore ci domanda e del Suo desiderio incessante di diventare cirenei di coloro che pone sul nostro cammino.
La Via Crucis, infatti, non è mai uno spettacolo da osservare dalla finestra: bisogna scendere in strada e prendere posizione al fianco di chi soffre, di chi lotta, di chi spera. Questo non è facile e richiede davvero molto coraggio e pazienza. Ed è proprio la pazienza che ci sostiene, che ci permette di restare in piedi, di resistere. È l’antitesi della resa e della rassegnazione. Essa esclude la fretta, ma non la passione. E di passione è intrisa tutta la nostra vita! Una passione viva, operosa ma anche fortemente contemplativa, che ci consente di agire per amore del Vangelo e dell’Uomo e al tempo stesso di scorgere la presenza di Dio nelle situazioni più disparate! Si, perché Dio non ci abbandona, Dio è presente, operante, vivo!
Insieme per camminare
Con cuore traboccante di profonda gratitudine verso il Signore per la sua costante presenza e il sostegno lungo il cammino quotidiano, viviamo la necessità evangelica di camminare insieme a coloro che incontriamo lungo la strada.

Camminare insieme nella concretezza del noi significa permettere che le nostre vite si intreccino attraverso fili invisibili di fiducia e rispetto reciproco, formando una trama di solidarietà e compassione che avvolga e protegga ogni cuore. Siamo chiamati, come dice Paolo, a portare «i pesi gli uni degli altri» per adempiere «la legge di Cristo» (Gal 6, 2). È nel cammino comunitario che scopriamo la bellezza della diversità che ci conduce oltre i limiti dell’individualismo verso una comunità dove ognuno trova il proprio posto e il proprio significato: «Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra» (1Cor 12, 27). Contribuendo con i propri doni e i propri carismi alla ricchezza del bene comune, manifestiamo l’amore di Dio tra noi, come ci ha insegnato Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). Ecco perché sarebbe più corretto dire: insieme per camminare. Questa espressione evidenzia due aspetti cruciali del nostro tempo. Anzitutto ci invita a riflettere sullo stallo in cui ci ritroviamo spesso: non stiamo camminando, o almeno non abbastanza, e percepiamo una certa aria di stanchezza. Mette in luce, poi, la nostra propensione alla frammentazione: quando non camminiamo è perché non stiamo insieme. Se segniamo il passo, è perché, a volte, ci manca il conforto dei compagni di strada e ogni volta che annulliamo l’avverbio “insieme” cancelliamo anche il verbo “camminare”.
Un cammino sinodale
Spesso, guardando la realtà che mi circonda, il mio cuore si riempie di gratitudine per il dono di tante persone dalla grande abnegazione, forgiati dallo spirito di sacrificio, dalla passione per il Signore, ma questa gratitudine non di rado è turbata dalla fatica che le stesse persone fanno nel lavorare insieme, nel comunicare tra loro, nel far circolare le idee e nel condividere le esperienze! Siamo arroccati nel nostro guscio individuale, nella nostra singola realtà, nella nostra personale esperienza di fede. Così la diffidenza diventa prassi, il sospetto reciproco metodo e l’esclusione uno stile di vita. Forse dovremmo avvicinarci con maggiore pazienza alle ragioni dell’altro, cercando di comprenderle e accoglierle. Abbiamo bisogno di ritrovare le cadenze smarrite del dialogo interpersonale, di assaporare il gusto della collaborazione e della corresponsabilità a tutti i livelli, perché è nella comunione e nella condivisione che ritroviamo il vero significato della nostra esistenza. Questo è il banco di prova della nostra autenticità e credibilità.
Come un virtuoso musicista, ognuno di noi è in grado di suonare melodie incantevoli, ma soltanto armonizzandole in un’unica sinfonia possiamo compiere appieno la nostra missione. Il percorso è lungo e impegnativo, ma è il solo che ci consente di progredire e di aprirci al futuro. C’è ancora tanto da fare e da vivere. La pazienza sarà la nostra guida costante: dobbiamo imparare ad accogliere i ritardi, i rifiuti e le dissonanze senza mai considerarli parola ultima, definitiva, ma note intrinseche di una partitura più grande. Le nostre mani, mai abbassate in segno di arrendevolezza, innalzate al cielo con fierezza, saranno l’emblema di una determinazione che sfida le avversità, come un canto che si eleva al di sopra di ogni ostacolo in nome di una indomita resistenza interiore. Perseverando nell’esercizio del discernimento comunitario, riprendiamo costantemente la felice e positiva intuizione del cammino sinodale; lavoriamo insieme e con entusiasmo per un pieno coinvolgimento comunitario, rendendo davvero la sinodalità un’esperienza autentica di condivisione e collaborazione. Il bene delle nostre comunità richiede il contributo di tutti, l’impegno a vincere ogni logica di chiusura e di individualismo per gustare il frutto di una vera fraternità, derivante dalla stessa carità di Cristo. Solo con questo spirito il Sinodo riuscirà a introdurre nuove sfide e opportunità, incoraggiando tutti ad abbracciare con rinnovato entusiasmo e fiducia la missione della Chiesa.

“Pellegrini di speranza”
In questo senso va letto, come occasione importante che il cammino della Chiesa universale ci offre, il Giubileo 2025: “Pellegrini di speranza”. L’Anno Santo, caratterizzato dall’annuncio di liberazione e riconciliazione, offre un’opportunità singolare per vivere e testimoniare la presenza di Dio e la sua giustizia nella società, in un mondo che cerca disperatamente un senso di pace e di armonia. La preziosa riflessione offerta da Papa Francesco nella Bolla di indizione, «Spes non confundit», ci aiuta in questo percorso. Il tema della speranza non solo si inserisce armoniosamente nel cammino sinodale che stiamo percorrendo, ma si collega anche alla volontà di identificare obiettivi e strategie per rinnovare la vita delle nostre comunità. Senza la speranza, nessun cammino sarebbe praticabile e nessuna prospettiva potrebbe essere delineata concretamente. Senza la speranza, il cammino diventa un deserto arido, privo di colori e di prospettive, un labirinto senza uscita. Se, invece, abbracciamo la speranza, le strade si schiudono, le montagne si spostano e i mari si aprono, rivelando un avvenire di gioia e compimento.

È necessario trovare lo stile della comunione, il gusto della comunione, il puntiglio della comunione. Offriamo la nostra incondizionata disponibilità nella sola logica del servizio. È in gioco non la nostra efficienza aziendale, ma la nostra credibilità. Non ripieghiamoci a conservare l’esistente, ma osiamo un passo nuovo nel nostro modo di pensare, torniamo ad immaginare un nuovo modo di vivere la missionarietà, di abitare la cultura di questo nostro tempo, di suscitare nuovi attori, nuovi spazi sociali, di accompagnare i giovani e coloro che non vogliono smettere di sognare un futuro di giustizia e di pace. Passare dal sogno al segno richiede però il coraggio di osare, di cercare nuovi strumenti per trasmettere la “buona notizia”, di metterci in cammino per portare Cristo a quelli che non lo conoscono, che si sentono lontani, che l’hanno dimenticato, che hanno perso la fiducia, che sono ai margini, che non ce la fanno più.
Osiamo un passo nuovo per dare a questa società un fiotto di speranza, nonostante le tante situazioni di morte, di disperazione e di indifferenza. Alleniamoci alla lettura dei “negativi” imparando ad intuire già quale deve essere una fotografia sviluppata nella bellezza dei suoi colori. Osiamo un passo nuovo per costruire rapporti senza pregiudizi, riconciliazioni senza ripudi, collaborazioni senza esclusioni, rispetto senza discriminazioni, abbracci senza rancori, per sentire la gioia di prendere il largo, per stimolarci ad una creatività fresca, ad una fantasia liberante che ci faccia provare l’ebbrezza del camminare insieme.

La porta invisibile
Certi che non basta tirare fuori dall’armadio del passato i dolci ricordi di un tempo, spalanchiamo la finestra sul futuro, progettando insieme nel cantiere della speranza e dell’amore. Così, con lo spirito illuminato dal Vangelo diamo vita alla concretezza del noi e ci incamminiamo consapevoli che ogni passo compiuto è un inno alla bellezza dell’esserci e dell’esserci insieme. Nella gioia dello Spirito del Risorto. Senza paura della pioggia, senza timore della fatica. Con la certezza che ogni passo, se fatto insieme, diventa già un pezzo di Regno. Che sia questo il mandato, il segno visibile, del nostro pellegrinaggio: continuare a percorrere passi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, sostare davanti alla porta santa della vita di chi ci è accanto e lasciare che l’altro/a possa sostare davanti alla nostra porta santa; la porta della nostra povertà, della nostra fragilità, la porta della nostra umanità per tessere trame di fraternità, per vivere la comunione, per gettare nei solchi di questa nostra terra semi di vita bella, buona e vera, per essere costruttori di pace e di giustizia, moltiplicatori di amore e di bellezza.
Il Giubileo apre una porta invisibile, la porta santa del cuore di Dio: una porta che invita, accoglie e abbraccia. In realtà è una porta sempre spalancata ma che spesso, distratti dall’ordinario, affaccendati dietro il tanto da fare, non vediamo. Guardarla insieme, incoraggiarci a vicenda nel varcare la sua soglia, è invece l’inizio di un cammino, di un respiro di grazia, di un tempo in cui le ferite possono divenire spiragli di luce, di un tempo che profuma di libertà, di guarigione, di perdono, di riscatto. Il Giubileo è l’eco di una promessa: nessuno è escluso dall’amore, nessuno è dimenticato dalla speranza.
La Croce apre il cammino
Il cammino si apre nel segno della Croce, della sua Croce, del Crocifisso Risorto, di quella Croce in cui tutte le nostre croci trovano senso, diventando provvisorie, illuminando di speranza il presente e di resurrezione il futuro. È la sua Croce che porta dentro tutte le croci: quelle degli abbandonati, dei feriti, di chi cerca un domani ma vive un oggi faticoso, denso di ferite e dolori. Questa Croce non è solo un segno: è un ponte, un faro, una promessa. Rappresenta la speranza che non tradisce, che non confonde, che non delude, ma che illumina anche la notte più buia. Nel Giubileo, il primo passo lo fa la Croce: a ricordarci che fede è riconoscere il dolore del mondo e trasformarlo in amore, in accoglienza, in un futuro che abbraccia tutti senza lasciare ai margini nessuno. Il Giubileo non è, infatti, soltanto una celebrazione, un rito, ma una possibilità concreta che ci è data per ascoltare il respiro di Dio che soffia sulle nostre vite per liberarci dalle catene e riportarci alla nostra dignità di figli amati.

Questo Giubileo è il tempo in cui dobbiamo consentire a Dio di fasciare le nostre ferite, per fare altrettanto con coloro che incontriamo. È il tempo in cui il povero, l’emarginato, il peccatore trovano il riscatto della propria dignità. È il tempo in cui le catene dell’ingiustizia, della violenza, della corruzione attraverso di noi possono spezzarsi. È il tempo in cui prendiamo sul serio l’invito di Dio a custodire la terra, nella consapevolezza che è il luogo sacro pieno della Sua presenza, la casa comune da abitare con rispetto, stupore, e cura! È il tempo di rimettere i debiti, di restituire dignità a chi vive oppresso dal peso dell’ingiustizia. È il tempo in cui prendendoci per mano e operando la giustizia possiamo aprire nuove strade di pace. È il tempo in cui ognuno di noi, riscoprendo il proprio battesimo, può diventare artigiano di speranza, di quella speranza di cui il mondo ha bisogno.
Camminare, crescere, osare
In quest’anno santo siamo invitati dal Signore a volgere ancor di più lo sguardo verso il cielo, ma con i piedi ben piantati a terra, cercando nel Vangelo le risposte più profonde alle nostre domande, alle domande di questo nostro tempo.
Giriamoci insieme verso il dolore che segna le sorti della terra tutta, un dolore che ferisce in profondità, un dolore che si chiama “guerra”. Invochiamo la pace! Pace su ogni conflitto, da quelli piccoli che feriscono le nostre famiglie a quelli più ingenti, quelli che attirano l’attenzione internazionale, ma che altro non sono che un incessante accumulo di quotidiane tensioni: crescono e gradualmente si fanno guerra. La cessazione di questa guerra diventi per noi monito di speranza per la definitiva conclusione di ogni inutile spreco di sangue, in ogni luogo, in ogni tempo.
Il Giubileo è un invito a sperare. In un mondo spesso segnato dalla sfiducia, Dio ci chiama a guardare oltre, a credere che il futuro è nelle sue mani, che c’è ancora spazio per la speranza. E la speranza non confonde, la speranza non è un’illusione: è un cammino concreto, fatto di piccoli passi, di gesti semplici che costruiscono il Regno di Dio. Lasciamo che Dio faccia nuove tutte le cose, anche le nostre certezze e i nostri schemi, spesso così resistenti alla novità di Dio. Lasciamo che il Signore ci liberi, ci perdoni, ci guarisca, ci renda uomini e donne capaci di speranza. Il Giubileo è un dono da condividere: il dono della Misericordia! È il tempo di alzarsi e camminare. Camminare insieme. Crescere insieme. Osare insieme. Alla sequela di Cristo. Sul passo degli ultimi. Nel nome del Vangelo.