A prima vista può apparite un termine banale, insignificante. In realtà ha uno spessore che va oltre l’apparenza e una carica dinamica di speranza che apre a possibilità inedite. Non è facile da assumere, né comodo, né spontaneo. Non compare nel linguaggio infantile ed è poco utilizzato in quello degli adulti. Fa parte di un pensiero riflesso, critico, non soddisfatto di quanto appare, né di quanto “tutti” affermano. Richiede tempo, riflessione, umiltà.
Pressati dalla complessità del vivere, dalla corsa e dalle abbondanti proposte del mercato, indicazioni precise e rassicuranti diventano gradite e, a volte, anche utili. Un’ex allieva, nell’esprimere il disagio sperimentato lavorando in un negozio di cosmetici, affermava che “la gente ha bisogno di bugie”, cioè di essere rassicurata, di sentirsi dire che quel prodotto ringiovanisce, che quell’altro è sicuro ed efficace. Lei, sapendo che esisteva anche una parte di forse e non sentendosela più di dire bugie, per stare in pace e non compromettere le vendite, cambiò lavoro. Invece, molti mezzi di comunicazione, e con strumenti sempre più raffinati, rassicurano efficacemente sulle capacità che i prodotti hanno di conferire prestanza fisica, benessere, felicità. E lo fanno con professionalità, inducendo ad atteggiamenti passivi e acritici di consumismo e realizzando ottimi proventi economici.

Forse è una parola in forte dissonanza con la superficialità, la passività, la creduloneria, la corsa, la pretesa, atteggiamenti indotti e tollerati dall’attuale cultura e, spesso, inconsapevolmente assunti come normalità anche da chi vive in ‘convento’. L’atteggiamento del forse nasce dalla speranza che abita nell’anima. Quando èalimentato dall’amore, avvolto dalla ragione e illuminato dalla fede, può diventare un aiuto efficace specialmente nelle situazioni problematiche delle relazioni interpersonali.
Assumere l’atteggiamento del forse è da persone adulte, critiche, rispettose della vita, libere da difese e paure e dal bisogno di avere e di dominare. È da coloro che hanno assunto i grandi valori universali della fraternità e della dignità della persona e che, attingendo sicurezza ancorandosi all’Alto, pur apprezzando alcune possibilità dell’avere e del potere, vanno oltre.
Nella relazione educativa, di fronte a chiusure e a risposte negative, l’atteggiamento del forse, nutrito dall’amore, non consente di darsi per vinti. Con gli sprazzi di speranza che gli sono propri, stimola a cercare strade d’intervento costruttivo. Aiuta educatrici ed educatori a sospendere il giudizio negativo e a risvegliare energie assopite e creatività, ad aprirsi al confronto e al dialogo, a cercare mezzi più efficaci e a provare e riprovare con fiducia, pazienza rispettosa dei tempi e resiliente perseveranza.
Quando, dopo una lite, un diverbio, una guerra si desidera arrivare ad un accordo che soddisfi ambo le parti, porsi nell’ottica del forse potrebbe essere, oltre che utile anche risolutivo. Di fronte a chi la pensa diversamente, all’offensore, all’avversario, il forse mette nella migliore disposizione, predispone infatti a credere di essere nella verità, ma di non possederla tutta; a superare la paura di perdere qualcosa; ad ascoltare con desiderio di conoscere ragioni e aspetti di verità e di situazioni sconosciute e a farlo con pazienza fino in fondo; a trovare la capacità di esprimere il proprio parere senza eccedere e il coraggio di riconoscere i propri limiti.
L’atteggiamento del forse non è una panacea adatta per tutte le situazioni. Ma, anche nelle relazioni quotidiane, potrebbe essere una buona compagnia. Di fronte a chi tende ad avere sempre ragione, a fare affermazioni sicure e avventate, a criticare tutto e a lamentarsi viene spontaneo rispondere a tono, dando avvio a discussioni che lasciano scontento e strascichi di ostilità. Un forse, invece, potrebbe suggerire di rispondere con un paziente ascolto, una parola inoffensiva o scherzosa, un silenzio, uno sguardo di comprensione o di semplice dissenso, lasciando pace. Soprattutto di fronte a rimproveri e a offese, questo atteggiamento può diventare efficace. Invece di gesti e parole difensive cariche di emotività, come vengono d’istinto in queste situazioni, un forse potrebbe aiutare a mantenere un comportamento contenuto, a mettersi in discussione e a riconoscere i propri errori, come pure intuire se le offese provengono da cattiva interpretazione, da un bisogno di sfogo dell’offensore e rispondere di conseguenza, evitando liti inutili e disgustose.
Di fronte all’attuale situazione geopolitica da fine del mondo, poter pensare che si possono intravvedere anche indizi positivi, sarebbe di enorme sollievo per tutti. Non mancano voci flebili e autorevoli che lo affermano, anche se può sembrare azzardato. Mentre cercavo argomenti su questo tema, la lettura dell’Editoriale della Rivista Limes1 mi ha sorpresa. Alla fine di una dettagliata e preoccupante descrizione dell’attuale situazione mondiale, l’Articolista conclude lasciando spazi aperti alla speranza di qualcosa di diverso, forse anche positivo. Fra le motivazioni a sostegno di questa previsione segnala: la diffusa consapevolezza che la guerra serve solo a distruggere e la paura che l’AI, sfuggendo al controllo, porti alla catastrofe per tutti.
Attualmente, il forse sta diventando indispensabile sia per difendersi da un’informazione che sta veicolando false notizie con mezzi sempre più sofisticati, sia per sradicare dalle varie culture quelle arcaiche e nefaste convinzioni razziste e sessiste che impediscono la fraternità e la pace.
Per noi, che probabilmente attingiamo a un forse nato dalla speranza illuminata dalla fede in una Presenza che guida la Storia, donare sprazzi di speranza che liberano dalle continue e angoscianti visioni di morte e coltivare rapporti di fraternità potrebbe essere un efficace ‘pane’ quotidiano.

Un episodio tratto dal libro di Martin Buber: I racconti dei Chassidim, intitolato ‘forse’, può completare e concludere questa breve riflessione.
La speranza ‘salesiana’
che nasce dal forse nutrita
dall’amore, illuminata
dalla fede e guidata dalla
ragione, fa miracoli.
“Uno dei progressisti, uomo assai dotto, che aveva sentito parlare del Rabbi di Berditschev, lo andò a trovare per disputare anche con lui, come soleva, e confutare i suoi argomenti arretrati… Quando entrò nella camera dello zaddik, vide che camminava su e giù con un libro in mano, immerso in una fervida meditazione. Il Rabbi non badò a colui che entrava. Finalmente si fermò, gli gettò una rapida occhiata e disse: “Ma forse è vero”. Il dotto raccolse invano tutta la sua sicurezza, ma gli tremavano i ginocchi; così terribile a vedersi era lo zaddik, così terribili a udirsi le sue semplici parole. Rabbi Levi Isacco si voltò interamente verso di lui e con grande calma gli disse: “Figlio mio, i grandi della Torà, con i quali hai disputato, hanno sprecato con te le loro parole; dopo averli lasciati, ne hai riso. Essi non hanno potuto farti toccare con mano Dio e il suo regno, e anch’io non lo posso. Ma, figlio mio, pensaci, forse è vero.” L’illuminato raccolse tutte le sue forze per replicare, ma quel terribile ‘forse’, risuonando di continuo nei suoi orecchi, spezzò la sua resistenza.”2
- Limes. Rivista italiana di geopolitica. L’ordine del caos, I, gennaio 2025 ↩︎
- MARTIN BUBER, I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano 1979, pag 273. I Chassidim sono un movimento fiorito nel 700 nell’Europa orientale, un’esperienza religioso culturale guidata dai Zaddik, rabbini maestri di spiritualità, una spiritualità che sottolineava la tristezza del peccato e la gioia come vero veicolo verso Dio. Dell’opera esiste anche una nuova edizione dell’editrice Guanda 2021. ↩︎