Nella Spe Salvi, Papa Benedetto XVI spiega magistralmente come la speranza comunitaria che ha avuto origine nella fede cristiana abbia gradualmente lasciato il posto a una speranza individualistica. Secondo il pontefice, con l’avvento del mondo moderno, la speranza umana si sposta da Dio alla ragione basata sul metodo e sull’esperienza. Gli esseri umani sono arrivati a credere che lo sviluppo della scienza sarebbe stato in grado di portare la speranza del “Regno di Dio” sulla terra, e che non sarebbe stato più un Regno di Dio, ma un “Regno dell’uomo”, realizzato dalla sua intelligenza.
In seguito, la speranza di raggiungere il paradiso perduto si è spostata sul “progresso” e si è arrivati a credere che il progresso di per sé sarebbe stato in grado di porre fine alla povertà e alla disuguaglianza, in altre parole, sarebbe stato in grado di risolvere i problemi dell’umanità. Ma anche con il progresso, l’uomo è sempre uomo e senza Dio non è possibile costruire il “Regno di Dio”.
Quando la fede nel progresso comincia a crollare, emerge la speranza nella rivoluzione. Marx credeva che la rivoluzione, promuovendo il rovesciamento del potere di classe, sarebbe stata in grado di formare una nuova società più giusta e fraterna. Questo è stato un altro errore.
Più recentemente, la speranza umana è stata soppiantata dall’avvento delle tecnologie. Le tecnologie mediatiche sembravano essere la nuova speranza in grado di abbattere le barriere del tempo e dello spazio. I media digitali sembravano promettere di democratizzare l’accesso alla conoscenza, di permettere a tutti di esprimersi allo stesso modo, creando una sorta di cyberspazio, un non-luogo, l’utopia di una nuova società planetaria. Un’altra grande illusione.
In tutti questi tentativi umani di riporre la speranza in progetti puramente umani, ciò che spicca davvero sono i progetti individualistici in cui chi possiede capitale, tecnica, potere o tecnologia domina e manipola gli altri. Questo accade perché in tutte queste situazioni, quando Dio viene tolto dal centro, gli esseri umani si pongono come elemento di autoreferenzialità e dimenticano che non si salvano da soli, ma solo in comunità.
Sembra una dicotomia, ma anche se siamo sempre più “connessi”, la sensazione di isolamento e solitudine non è mai stata così forte come oggi. Questo perché la connessione non è la stessa cosa di una relazione faccia a faccia. La connessione è solo un legame meccanico, mentre la relazione è coinvolgimento, è guardarsi negli occhi, è sentire i sentimenti dell’altro. In una connessione, la persona rimane nello stesso luogo, il centro è sé stessa, non forma una comunità. La relazione, invece, richiede il movimento di uscire da sé stessi e avvicinarsi all’altro, vedendo la realtà da un punto di vista comune.
Papa Francesco invita tutti i cristiani ad aprirsi alla speranza in Dio, l’unico capace di promuovere “una comunicazione attenta, amorevole, riflessiva, capace di indicare percorsi di dialogo”. Ma come cambiare rotta? Come tornare a una speranza comunitaria che sia veramente centrata su Dio? Forse è questa la grande proposta dell’Anno Giubilare della Speranza, fare un cammino di conversione, abbandonando le speranze umane frammentate e superficiali per arrivare all’unica vera speranza centrata su Dio.

Come cristiani, sarebbe bello se i nostri social network smettessero di mostrare i nostri selfie e mostrassero invece le nostre comunità. Cercare e far vedere, ascoltare e sentire le storie di amore e di bene che sono nascoste e che pochi o nessuno vede. Quanto sarebbe bello creare un movimento che metta in luce le innumerevoli iniziative comunitarie di aiuto agli altri, di superamento, di costruzione collettiva, di coinvolgimento sociale, di preghiera vissuta e condivisa che ci rendono capaci di trasformare la vita delle nostre comunità.
I media digitali hanno un’enorme capacità di coinvolgere e far partecipare le persone; se noi cristiani li usassimo non per esporci, ma per far sentire il grido degli ultimi e dei dimenticati della società, il grido silenzioso della terra che soffre del degrado in nome del consumo sfrenato, forse potremmo recuperare il senso di comunità che oggi è così carente.
La comunicazione autentica non può rimanere solo un collegamento, ma deve diventare una relazione. Deve generare un movimento di vicinanza, disinstallare la persona dal suo mondo egocentrico per incontrare l’altro, aiutandola a percepirsi come soggetto storico, sociale e comunitario, corresponsabile del destino comune di coloro che la circondano.
Abbiamo bisogno di una comunicazione che provochi amore nelle persone, che le aiuti a uscire dai loro mondi chiusi, che le faccia uscire dall’indifferenza e le porti verso il Regno di Dio. Quante volte i post diventano virali, creando movimenti di protesta, generando tendenze, creando influencer, perché non possiamo rendere virali le storie di bene, le iniziative per aiutarci a vicenda e rafforzare le comunità.
Quest’anno la Chiesa ha la gioia di celebrare la canonizzazione di Carlo Acutis, un giovane santo che ha usato Internet per diffondere la devozione all’Eucaristia e promuovere l’amore, la preghiera e la pratica del bene. L’esempio di Carlo Acutis susciti in noi il desiderio di essere autentici comunicatori della speranza cristiana, una speranza che si vive e si costruisce in comunità, ma che è centrata su Dio, sul suo progetto di vita e sull’amore che trabocca su ciascuno di noi.

Glossario
Cyberspazio
l nome dato al mondo digitale in cui avvengono le interazioni su Internet. È come uno spazio virtuale in cui persone, aziende e sistemi informatici si connettono per scambiare informazioni, chattare, giocare, lavorare e molto altro. Include siti web, social network, applicazioni e qualsiasi ambiente digitale a cui si accede tramite computer, telefoni cellulari e altri dispositivi.

Non-luogo
concetto che si riferisce a spazi che non hanno una propria identità, una storia o un legame emotivo con le persone che li attraversano. Si tratta di luoghi di passaggio, come aeroporti, stazioni degli autobus, centri commerciali, strade e alberghi. Anche gli ambienti digitali che non hanno uno spazio fisico reale possono essere considerati non-luoghi. A differenza di una casa o di una piazza di quartiere, dove le persone creano legami e ricordi, i “non luoghi” sono impersonali e temporanei. Questo termine è stato coniato dall’antropologo francese Marc Augé.

Viralizzare
significa che qualcosa, come un video, un meme o una notizia, si diffonde molto rapidamente tra molte persone. È come un “virus” digitale, che viene condiviso da migliaia o addirittura milioni di utenti in un breve lasso di tempo. Questo può accadere perché è divertente, scioccante, interessante o semplicemente inaspettato.
