Segni di civiltà

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“Siamo stati creati per amare ed essere amati. Dio, che è Amore, ci ha creati per condividere la Sua vita, per essere amati da Lui e per amarlo, e per amare tutti gli uomini con Lui.” 1

Con questo messaggio, Francesco vuole ricordarci qualcosa di così semplice e tuttavia così complicato da vivere e credere: “Il sogno di Dio per l’uomo è renderlo partecipe della sua vita d’Amore”. Dobbiamo fare nostro e possibile quel dono della Grazia che Dio ci dà.

Esiste molto materiale scritto, approfondito e discusso su questo argomento. Tutti pensiamo di sapere cos’è l’amore e come viverlo, tutti ci sentiamo capaci di farlo conoscere, ma è reale nella nostra umanità di oggi?

In una lezione, uno studente chiese all’antropologa americana Margaret Mead2 quale considerasse come primo segno di civiltà nell’umanità. Lo studente e i suoi compagni di classe si aspettavano che Mead parlasse dell’amo da pesca, del vaso di terracotta o della mola.

Altri, come me, senza essere presenti alla sua lezione, potrebbero pensare che la scrittura cuneiforme, la matematica applicata e la conoscenza degli astri che ci giungono dai Sumeri o le notizie dalla Turchia sudorientale e dal suo maestoso santuario Göbekli Tepe.

Ma non è così.

Secondo lei il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore fratturato che poi sembrava guarito.

Mead spiegò che nel regno animale, se ti rompi una zampa, muori. Perché non puoi procurarti né cibo né acqua, né sfuggire al pericolo, perciò sei una facile preda per le bestie che ti circondano. E nessun animale con un arto inferiore rotto sopravvive abbastanza a lungo da permettere all’osso di guarire da solo. Quindi un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno è rimasto accanto alla persona che se l’è rotto, ha bendato e immobilizzato la frattura. Cioè, che si è preso cura di lei e l’ha aiutata in qualche modo a spostarsi insieme all’intero gruppo.

“Aiutare qualcuno a superare le difficoltà è il punto di partenza della civiltà”, ha spiegato Mead.

In tanti dettagli della cura spiegata dall’antropologo c’è l’amore, presente in un gruppo di nomadi. Una specie appartenente, fino a quel momento, al mondo animale, che vive grazie alle cure ricevute ed è capace di prendersi cura degli altri. E lì, in quel segno primitivo, chi è attento sa che è possibile vedere una nuova alba.

Può sembrare un’esperienza molto semplice, ma io la vedo come un grande segno di evoluzione Quando hanno capito che era meglio stare insieme? Quando hanno smesso di cercare la sopravvivenza per se stessi? Chi li ha spinti a prestare attenzione l’uno all’altro in un momento di dolore? Qual è l’inizio di uno spazio comune per prendersi cura?

L’amore è passato da quei piccoli legami a diventare parte di qualcosa di più grande; Chiamiamola tribù, clan, etnia o popolo: è lì che si rivela il suo lato migliore e si formano amicizia, fratellanza e solidarietà. L’esperienza dell’amore si sviluppa in uno spazio sociale.

Oggi la nostra realtà, di cui ormai sappiamo lo stato e quanta sofferenza contiene, fa parte di un nuovo stato di “evoluzione”, o almeno questo è ciò che crediamo, e qui si manifesta l’imperativo bisogno di amore. Parlare oggi di amore sociale è un impegno, perché ci coinvolge, senza volerlo, con la radice più profonda della persona e del luogo dove si cresce e si trascende.

Quando Papa Francesco ci ha presentato la sua enciclica “Fratelli Tutti” nel 2020, l’umanità stava vivendo un momento di disorientamento, estrema agonia e disperazione. Una situazione critica, dove la proposta dell’amore sociale – chiamata amicizia, fraternità e tanti altri nomi significativi nel nostro ambiente – è segno di crescita e di apertura del cuore oltre ogni confine: geografico, culturale, religioso, economico. Perché “nessuno si salva da solo”. (Momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia presieduto dal Santo Padre Francesco, 27 marzo 2020)

“L’amore sociale è la chiave per uno sviluppo autentico, per plasmare una società più umana, più degna dei suoi abitanti. Diventa sempre più necessario rivalutare l’amore nella vita sociale, a livello politico, economico e culturale, facendone il criterio costante e supremo di azione. Teniamo presente che l’amore è l’unità di due, e io so bene quando creo l’unità di due, a partire da me stesso.”3

Queste parole, espresse da Padre Hernando, manifestano il significato profondo di questo amore sociale e il suo impatto sull’umanità. Mettono in risalto anche la necessaria esperienza dell’amore, sia nella propria vita sia negli incontri con gli altri.

Non possiamo tenere per noi stessi l’amore di Dio, perdiamo il senso del dono ricevuto. Fare nostra questa esperienza ci aiuta ad amare noi stessi, come Dio ci ama, a far andare avanti la nostra vita e a trovare un senso: la vita è veramente nostra quando scegliamo di partecipare attivamente alla vita degli altri attraverso tanti gesti e segni. Così si alimenta la speranza, la nostra e quella degli altri, perché ci incoraggiamo a vicenda a fare di più, perché guardiamo avanti insieme, perché siamo capaci di lasciare che l’amore trasformi la realtà in cui siamo immersi.

Tra qualche secolo troveremo i resti della nostra civiltà, espressioni uniche di ciò che viviamo oggi. Senza dubbio, saremo ricordati per ciò che è più grande e visibile, per ciò che fa rumore: l’egocentrismo umano, per crederci piccoli “dei” capaci di fare la nostra volontà, per aver gestito le risorse di tutti per il benessere di pochi, per aver fatto credere che non tutti hanno un posto (e sono degni) nel mondo, per aver risposto con la violenza e la morte a richieste e bisogni.

Mi piace immaginare che tutte le piccole cose che facciamo, la libertà che cerchiamo, la Verità in cui crediamo e che condividiamo, le vulnerabilità accettate e trasformate, le esperienze fraterne e comunitarie che incoraggiamo avranno il loro spazio… e appariranno i segni dell’esperienza dell’amore ricevuto, donato e che alimenta la speranza.

Nella piccola comunità nomade, il segno dell’amore era un osso rotto e tutta la dinamica della vita che si è sviluppata dietro di esso: ferite guarite, compagnia, cibo, camminare insieme.

Per te, qual è il segno della nostra civiltà odierna? Se ne hai voglia, condividilo usando questo codice e scopriamo insieme quale ci rappresenta al meglio.


  1. Papa Francesco, Angelus, 29 ottobre 2017 ↩︎
  2. Antropologo e poeta statunitense (Filadelfia; 16 dicembre 1901 – New York; 15 novembre 1978) ↩︎
  3. Sacerdote e filosofo Hernando Uribe (Colombiano) – Ordine dei Carmelitani Scalzi. ↩︎

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