Suor Maria Troncatti madre. Qual è la tua esperienza al riguardo?
C’è un signore nato orfano che non ha mai ricevuto affetto, non ha mai ricevuto un sorriso da nessuno. Suor Maria lo ha adottato quasi come figlio e quindi lui ha conosciuto bene suor Maria e quando è morta per la caduta dell’aereo, ha detto: “Adesso davvero rimango orfano perché sono senza mi madrecità querida, senza la mia madre amata”. Ma non era il solo. Un altro ragazzo, nato storpio, per gli Shuar doveva morire perché nella selva non può vivere una persona storpia. Suor Maria ha chiesto ai genitori: “Datelo a me, ci penso io e gli farò da mamma”. Ho conosciuto questo ragazzo, ormai uomo, zoppo, cammina come può, però non è stato sbattuto su una roccia come succedeva con tanti. Tutte le suore in spagnolo vengono chiamate “madrecita”, ma a parte questo titolo, suor Maria Troncatti davvero è stata una mamma per tante, tante persone. Provate a pensare: famiglie disastrate, figli che non sanno se papà c’è, se mamma c’è, se mamma non c’è. E il punto di riferimento chi era? Suor Maria Troncatti! “Madrecita, non ho soldi per comprare le medicine!”. “Madrecita” in italiano si potrebbe dire: mammina aiutami! Veramente, dall’inizio della sua vita apostolica in Ecuador, è stata la mamma per tutte le persone che ha incontrato, soprattutto per le persone diseredate. Loro lo sapevano: incontrando suor Maria, incontravano davvero una madre.
Qual è il ricordo più bello che hai di lei?
Non è uno solo. I ricordi veramente si assommano l’uno all’altro. Il ricordo più forte che ho è di quando è stata incendiata la nostra missione a Sucúa e i nostri confratelli sacerdoti praticamente per salvarsi si sono dovuti gettare da quattro metri di altezza. La casa in venti minuti è andata distrutta, ma loro si sono salvati tutti e Suor Maria ha asciugato le lacrime del nostro direttore, oggi monsignor Pedro Gabrielli. Ha asciugato le lacrime di padre Shutka, un uomo provato fino alla fine perché lo scopo era uccidere lui. Ma ciascuno di noi, soprattutto le ragazze dell’internato, avevamo veramente in suor Maria una mamma e, in questo momento così duro, così difficile, lei si avvicina al direttore, che non aveva potuto salvare niente, neanche i soldi: “Non si preoccupi che alla sua biancheria ci pensa suor Maria”. Lei è stata veramente l’angelo custode, forse nel momento più difficile, non solo per la nostra casa, ma per tutta la popolazione di Sucúa. Grazie, suor Maria che davvero sei stata mamma. Sei stata un Angelo custode non solo per i salesiani, ma per tutta la popolazione di Sucúa.
Come Suor Maria manifestava la maternità nei confronti dei salesiani?
C’erano dei momenti così belli, soprattutto l’onomastico, il compleanno di uno qualsiasi di noi. Lei ha detto a Padre Shutka: “È un sotterfugio, ma l’ispettore lo sa; l’ispettrice lo sa. In questa busta, a parte gli auguri, c’erano anche un po’ di sucres, la moneta usata allora in Ecuador. L’ispettore padre Pischedda faceva il colloquio da suor Maria Troncatti. Quando lei doveva partire per gli esercizi e non ci voleva andare le ho detto: “Ma lei si crede così santa che non ha bisogno di fare gli esercizi? Scusi, ma che esempio dà alle suore, alle suore giovani?” e mi rispose in italiano: “Diamine, andiamo!”. Parte, ma lascia a suor Vittoria Bozza una busta con gli auguri per il mio compleanno e c’erano dentro 300 sucres. Era una cifra consistente: “Ho già parlato al suo ispettore; quindi, lei veda come usare questi soldi”. Un altro particolare di suor Maria Troncatti: nella missione, in quel tempo, non c’era la strada, quindi necessariamente si lavorava la selva e si rientrava verso le 17.00. Suor Maria sapeva a che ora tornavamo e mandava una Kivaretta: “Ha dicho sor Maria que tiene que venir enseguida al hospital. Venga!” “Deve venire subito all’ospedale, suor Maria ha bisogno di lei”. Ma cosa sarà successo? Doveva sollevare qualcosa e non ce la fanno? Sapete cosa c’era sul tavolo? Un bicchiere di succo di limone. Prendeva le uova, le lavava, le metteva in un recipiente di vetro, sommergeva il tutto con il succo di limone, scioglieva il guscio dell’uovo e poi addolciva col miele, e questo era il ricostituente. “Cosmito beba esto que lo necesita” (Beva questo perché ne ha bisogno). “Suor Maria, mia mamma questo non me l’ha mai fatto” e lei non l’ha fatto solo una volta o due… noi salesiani sapevamo che per qualsiasi cosa, trovavamo in lei non una sorella, ma veramente una mamma.
Immaginavi che sarebbe diventata Santa? Cosa te lo faceva pensare?
È facile rispondere a questa domanda: ogni persona che aveva davanti era Gesù. Poteva essere l’ispettore, l’ispettrice, Monsignor Comini, l’ultimo Shuar, la persona più diseredata: era Gesù. Più la persona era bisognosa, più suor Maria era mamma per lei. E questo non è facile poterlo capire, ma finché non lo capiremo, non capiremo il Vangelo: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo sete e mi hai dato da bere”. “Ho bisogno delle medicine, suor Maria, ma non ho i soldi! “Stai serena, figlia mia, te le prendo io”. E quante persone potrebbero dare testimonianza di questo. Perché? Perché quella persona che hai davanti è Gesù. Una volta che noi abbiamo incarnato questo, saremo santi come lei. Chiudo: Suor Maria muore… dovevano fare l’autopsia, ma lei lo aveva previsto e aveva detto: “Il mio corpo non lo toccherà nessuno”. Il medico del governo che doveva fare l’autopsia disse: “Io non la tocco”. C’era tanta la venerazione… Anche il giovane medico dell’ospedale, con il quale abbiamo fatto tutte le pratiche perché suor Maria potesse arrivare a questo benedetto aereo, disse: “Ah! si no la toca usted yo tampoco la toco”, “Se lei non la tocca, non la tocco nemmeno io”… il corpo di un santo, di una santa non si tocca! Viva suor Maria! La preghiamo per camminare sulla scia che lei ha lasciato.
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