Non disperare

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Speranza è una parola che suona inflazionata, a scapito del suo nobile significato. Stando all'etimologia, deriva dal latino spes, che a sua volta rimanda alla radice sanscrita spa: tendere verso una meta. È proprio ciò che è indispensabile per vivere e non solo sopravvivere. La speranza, come diceva Nietzsche, è il "principio attivo". Infatti, senza una meta, non ci s’impegna per raggiungere un futuro migliore, non si fanno progetti per realizzare ciò che risulta auspicabile e meritevole di dedizione. Ci si volta dall’altra parte sorvolando sui problemi propri e altrui. Viceversa, chi spera mette il turbo e lotta per rendere il mondo più bello. Come diceva Ernest Hemingway: "Il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso".

In famiglia i genitori, i quali per natura vorrebbero dare il meglio ai figli, troppo spesso si concentrano sui beni materiali che suppongono li faranno felici: giocattoli, vestiario (se possibile firmato), cibo selezionato, una macchina ai 18 anni, l’appartamento in vista di un futuro (dubbio) matrimonio (o convivenza). Sono beni che non procurano automaticamente anche la dote più solida, quella che cresce in uno spazio relazionale in cui il figlio/a si sente amato, assapora la gioia di vivere e tiene lontane tristezza e disperazione.

Di fatto ogni giorno, presi come siamo dai nostri problemi, incontriamo persone fragili colpite da frustrazioni e sventure di vario genere, che abbandoniamo al loro destino. Guerre, conflittualità sociali, economiche e politiche, pandemia, crisi energetiche e alimentari, inflazione, effetti dei cambiamenti climatici tendono a tingere di nero l’orizzonte, soffocando la speranza di cui le persone fragili avrebbero assoluto bisogno. Circa la povertà nel mondo, tutto sembra ostacolare gli obiettivi dell’Agenda 2030, che programmava la sua eliminazione entro la fine del decennio. I dati (Poverty, Inequality, and Human Development – World Bank Group, marzo 2024, basati su oltre 2.300 indagini campionarie) consegnano una stima di 2,15 dollari pro capite al giorno.

Incertezza e paura sembrano incombere soprattutto sulle nuove generazioni, che non trovano risposte a domande fondamentali sul loro futuro e sulla loro stessa identità: “Chi sono io?”, “Perché sono nato?”, “Che ne sarà di me?”, Che fine farà questo mondo?”. I mass media fanno da detonatori del disagio. Non capita forse spesso di incontrare giovani senza speranza, ‘vecchi’ rispetto a quegli anziani i cui occhi brillano ancora di attese? Pochi riescono a conservare la volontà di studiare, di spendere bene il tempo, di vivere pienamente. Non a caso i numeri delle malattie mentali sono in crescita costante, come in un bollettino di guerra.

Quando non c’è alcun contraltare al vuoto, si affaccia il desiderio della morte: il nulla sperimentato si trasforma in un nulla procurato. Lo dimostra l’aumento dei suicidi, un’emergenza che colpisce particolarmente i giovani: ogni anno nel mondo si contano circa 46mila suicidi tra gli adolescenti. L’Unicef segnala che a livello globale, oltre un adolescente su 7 tra i 10 e i 19 anni fa i conti con un problema di salute mentale. Si tratta della quarta causa principale di morte tra i 15 e i 19 anni, più di uno ogni 11 minuti. Si calcolano 280 milioni di persone che soffrono di depressione (più donne che uomini), con sintomi di spossatezza, assenza/diminuzione d’interesse per attività solitamente ritenute piacevoli, perdita di concentrazione, pensieri suicidari, disturbi del sonno, disfunzioni cognitive e/o motorie. La pandemia ha fatto la sua parte: in tre anni c’è stato un aumento del 30% delle diagnosi di disturbi psichici con sintomi depressivi quintuplicati. Secondo gli esperti, depressione e patologie psichiche saranno le più diffuse nel mondo già prima del 2030 e stanno per superare quelle cardiovascolari. L’OMS avverte inoltre che la depressione presto sarà la prima causa di spesa sanitaria, comportando una significativa diminuzione del Prodotto interno lordo, tra spese dirette e indirette.

Riaccendere la speranza, iniettare nel mondo energia vitale positiva, dunque, non è solo una emergenza umanitaria o una virtù delle anime belle, ma anche una necessità. Non si tratta di essere ingenui ottimisti, ma di leggere tutto alla luce di un oltre, che ridimensiona l’assolutezza della realtà iniettando la fiducia di poter influire su di essa. Una tale speranza non va senza fare i conti prima o poi col male, col dolore, con la morte, con eventi tragici che possono far soccombere ma possono anche rafforzare la fede. I genitori che la trasmettono ai figli sperano che essi sapranno tener duro, nonostante le piccole e grandi contrarietà della vita. Fortunato chi ha imparato già in famiglia ad attraversare eventi e situazioni ostili, custodendo quel seme ricevuto col Battesimo.

Non mancano famiglie, benché rare, che nella vita di tutti i giorni sanno distribuire speranza anche ai disperati con cui vengono in contatto e che non ce la fanno da soli a reggere le avversità. Esse insegnano a tenere desta l’attenzione verso quanti sembrano ‘morti’ anzitempo, appesantiti dagli affanni, dai fallimenti, dagli abbandoni: giovani catturati dalle trappole di dipendenze da cui non riescono ad uscire, anziani soli che si trascinano a stento, ma che tornano a sorridere se c’è chi li vede ostinatamente ancora giovani, nonostante l’anagrafe segnali la curva calante della vita che si spegne. Ragazze e ragazzi che crescono in tali famiglie imparano a intuire il disagio altrui, a non pretendere privilegi per sé, a dire al momento giusto parole amorevoli e franche, all’occasione anche critiche, ma sempre nel rispetto e nella benevolenza. Tutti hanno bisogno di chi volge uno sguardo di con-passione e, nella misura del possibile, contribuisce ad alleviare le fatica della vita. Senza testimonianze credibili di resistenza e rigenerazione, ogni omelia è sterile.

La speranza vive del respiro dell’anima, di cui si ha bisogno come del pane. Secondo Simone Weil ogni essere umano lancia una implicita richiesta di pane per l’anima. Scrive in Attesa di Dio: “L’anima sa solamente in maniera certa che ha fame. L’importante è che essa gridi la sua fame. Un bambino non smette di gridare se gli si dice che forse non c’è il pane. Egli grida ugualmente. Il danno non è che l’anima dubiti se vi sia o no il pane, ma che si persuada per una menzogna che non ha fame. Ella non può persuadersi che per una menzogna, perché la realtà della sua fame non è una credenza è una certezza”; aggiunge: “Credo che… è la prima domanda da fare ora, una domanda da fare ogni giorno, ad ogni ora, come un bambino affamato domanda sempre il pane”.

I genitori cristiani insegnano a soddisfare questa fame alla fonte della speranza che viene dall’alto e rende capaci, anche a propria insaputa, di distribuire in mezzo al mondo la gioia, la quale rimbalza su chi la dona. Insegnano che vi sono realtà che si possono solo invocare perché la loro luce renda accettabili le turbolenze del presente, liberando dalla prigionia dell’hic et nunc; insegnano a cogliere la trama segreta che unisce tutto ciò che esiste. Del resto, non tutto ciò che si vede e si tocca esaurisce il mistero delle cose nascosto com’è nelle pieghe della realtà, come un invito a guardare oltre, a vedere ciò che non si vede, a sentire la presenza anche di amici lontani, di cari che non è più possibile abbracciare in questa vita, di un futuro che non c’è ancora, ma che potrà esserci anche grazie al nostro impegno. La speranza ben fondata mette le ali alla mente e al cuore (“La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”, Eb. 11, 1).

Perciò per Papa Francesco: “La speranza cristiana è incompatibile con il quieto vivere” (Agen. SIR.24.XII.2024) e nell’omelia della notte di Natale, dopo l’apertura della Porta Santa (Giubileo 2025). “Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia… Ci chiede – direbbe Sant’Agostino – di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle; ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia”. E ancora: “non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità; non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri. Al contrario, la speranza cristiana, mentre ci invita alla paziente attesa del Regno che germoglia e cresce, esige da noi l’audacia di anticipare oggi questa promessa, attraverso la nostra responsabilità e la nostra compassione”.

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