La nostra è una “società che corre il pericolo dell’elettroencefalogramma piatto, che pensa soltanto a divertirsi, a evadere, a consumare, all’usa e getta, [e che] ha bisogno di un antidoto …” (Leandro Sequerios). Sarà l’antidoto del pensiero critico che, rendendola capace di cogliere la banalità della cultura consumistica, l’aiuterà ad uscirne.
Chi ha letto l’Enciclica Fratelli tutti, forse è rimasto pensoso di fronte all’insistenza di Papa Francesco sull’importanza delle radici, raccomandando ai giovani di non ignorare la storia perché chi lo vorrebbe «ha bisogno che voi siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto» e quindi possiate fidarvi di lui e sottomettervi ai suoi piani» (FT, 13). E sottolinea che «isolare le persone anziane […] finisce per privare i giovani del necessario contatto con le loro radici e con la saggezza che la gioventù da sola non può raggiungere» (FT, 19). Insiste poi dicendo «che non c’è peggior alienazione che sperimentare di non avere radici, di non appartenere a nessuno. Una terra sarà feconda, un popolo darà frutti e sarà in grado di generare futuro solo nella misura in cui dà vita a relazioni di appartenenza tra i suoi membri, nella misura in cui crea legami di integrazione tra le generazioni e le diverse comunità che lo compongono» (FT, 53).
Una delle più grandi aspirazioni degli esseri umani è quella di essere e sentirsi liberi. Una delle più grandi ‘fatiche’ da parte di chi detiene qualsiasi potere, a volte anche familiare, sembra essere quella di consentire alle persone di esserlo realmente. La storia e anche la cronaca attuale è piena di violenze perpetrate, specialmente dai regimi totalitari per contrastare la libertà di pensiero e di coscienza, premessa alla libertà di agire.
Nel comune conversare ricorrono espressioni come: la tale dovrebbe essere più rispettosa, il tale dovrebbe essere più onesto, i genitori, gli studenti, i politici e altri dovrebbero. E nei dovrebbero, spesso, è incluso anche il giudizio e la condanna.